Nel suo percorso torinese, la Dora Riparia ha due particolarità curiose. Nei
suoi estremi periferici si muove tra i prati di due grandi parchi cittadini, la
Pellerina, al suo ingresso a Torino, e la Colletta, poco prima di incontrare il
Po. Nel suo tratto storico, in cui le strade che la affiancano prendono i nomi
delle città italiane, la vista è idealmente chiusa da due simboli dell'architettura
contemporanea cittadina, il Campus Luigi Einaudi di Norman Foster, verso la collina (dal ponte di via Rossini è quasi sotto Superga), e le torri
olimpiche di corso Mortara, verso le Alpi. In mezzo c'è la Torino
storica, che mano a mano si è avvicinata al fiume, cambiando per sempre il suo
volto, da città capitale aristocratica e burocratica a città industriale e
operaia.
Ogni tanto, regalatevi una passeggiata sui Lungo Dora torinesi: sono un bel
tuffo nell'immagine sempre in evoluzione di Torino e, allo stesso tempo, sempre
fedele a se stessa, con le architetture severe e di ispirazione castellamontiana, con la
Dora imbrigliata tra le alte mura, che la controllano e impediscono il rapporto
diretto stabilito invece con il Po, nei suoi parchi e ai Murazzi.
Si lascia il Campus Luigi Einaudi, si volgono le spalle alla collina e si inizia
a viaggiare nel tempo torinese. Ci sono piccoli squarci sulla Torino
storica, i palazzi di sapore antico, via Rossini, con i suoi teatri e il suo Auditorium, i Giardini Reali,
che aprono le porte ai palazzi del potere; e dall'altra parte gli edifici della
Torino delle barriere operaie. Fino a Largo Regio Parco, dove la coesistenza
delle due Torino si fa più evidente: da una parte i Giardini Reali con
l'ingresso quasi monumentale al fiume, segnato dalle torri Rivella, e dall'altro
corso Regio Parco e via Palermo, che si addentrano verso Barriera di Milano e i
quartieri nati durante la tumultuosa crescita del Novecento, quando non era
neanche più obbligatorio riprendere l'architettura severa e parigina che aveva
ispirato Torino fino ad allora. Sui lungofiume si alternano palazzi signorili, che riprendono i battenti, i balconi di ferro battuto, le decorazioni in gesso del centro, a palazzi più moderni, di architettura più anonima e trasandata, con il cemento che mano a mano si afferma sugli altri materiali.
Si passeggia e si sentono parlare il romeno, l'arabo, qualche lingua slava non
identificabile, di tanto in tanto anche l'italiano. Siamo tra via Bologna e
corso Giulio Cesare: qui ci sono tre ponti, tutti storici. Il Ponte Mosca, su
corso Giulio Cesare, a una sola campata, quasi una sfida per l'ingegneria
torinese del XIX secolo (fu inaugurato nel 1830); il ponte in diagonale della
ferrovia Ciriè-Lanzo, adesso pedonale e impossibile non attraversarlo, anche
solo per vedere che effetto che fa; il ponte di Borgo Dora, con la sua piccola tribuna verso il fiume, che attira sempre chi vuole prendere un po' di sole e godersi la Dora e gli alberi che vi si affacciano.
A Borgo Dora si perde il lungofiume del lato sinistro e si può continuare
sull'altro lato, sul Lungo Dora Napoli, dove le architetture moderne convivono
con preziosi edifici per il reddito immobiliare di inizio Novecento, ancora con
qualche richiamo vagamente liberty. Le alte mure che cercano di controllare il
corso del fiume lasciano il posto a rive più verdi, con alberi e siepi che
ricordano la primavera e che sono di grande fascino in autunno. Superato il
ponte di via Cigna, si intravedono le torri olimpiche, a chiudere la
prospettiva. Poche centinaia di metri e il Lungo Dora Napoli termina in corso
Principe Oddone. Di lì non ci sono più strade ad accompagnare il fiume: il
Parco Dora di Spina 3 da terminare e i capannoni di Lucento, che hanno sfruttato
la potenza motrice delle acque nella prima industrializzazione, hanno deciso
altrimenti. Per ritrovare la Dora, bisogna aspettare il Parco della Pellerina.
Non è lontano.
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