Ieri sera, mentre leggevo il comunicato stampa con l'appassionato discorso di chiusura di Nicola Lagioia, il direttore del 30° Salone Internazionale del Libro di Torino, mi chiedevo se pubblicarlo o meno integralmente, essendo molto lungo. Ma dice belle cose del Salone, di Torino, della Cultura e del suo valore per gli italiani, così ho deciso di compiere un atto di fiducia e lo pubblico tutto. Prima però, i numeri del successo del Salone torinese: alle ore 16 del 22 maggio, i visitatori sono stati 165.746 (140.746 al Salone e oltre 25mila per le iniziative del Salone Off), circa 38mila in più del 2016; l'orario complessivo, rispetto al Salone 2016, è stato ridotto di 12 ore. Le vendite di libri sono aumentate un po' per tutte le case editrici, con punte di +50% per Feltrinelli e Newton Compton e del 40% per Sellerio e Marcos y Marcos. Sono numeri che parlano da soli e raccontano il successo di un format e l'orgoglio di una città. Che nessuno osi toccare quello che Torino ha inventato e curato con passione, affetto ed entusiasmo. Il prossimo Salone del Libro si terrà dal 10 al 14 maggio 2018. E questo è il discorso conclusivo dell'uomo che lo ha rilanciato e che sarà il suo direttore anche il prossimo anno: Nicola Lagioia.
Mentre il Salone sta vivendo le ultime
ore di questa edizione, e la gente sta tornando a casa, e i binari
delle stazioni di Porta Nuova e Porta Susa sono pieni di persone che
si abbracciano tra loro, e i social traboccano oggi non di messaggi
d'odio ma di veri squillanti sinceri dichiarati messaggi di amore,
pace, e solidarietà (che, come abbiamo detto sin dalle prime
conferenze stampa, sono state le stelle polari che non abbiamo avuto
paura di seguire in questi mesi di lavoro), mentre siamo in mezzo a
tutto questo, ci stiamo rendendo conto che qui a Torino, in questi
cinque giorni, è successo qualcosa che nessuno avrebbe previsto,
anche se ognuno di noi l'aveva desiderato a lungo, in un tempo e in
un mondo in cui ti dicono che le cose che davvero desideri hanno poca
speranza di realizzarsi. Invece ogni tanto accadono, e io mi auguro
che sia accaduto, o meglio che stia accadendo una volta per tutte.
Non mi riferisco al successo del Salone
del Libro di Torino. Che sia stato un enorme successo è talmente
evidente a tutti che non c'è bisogno di spiegarlo.
Io credo che al Salone, e a Torino, in
questi cinque giorni, e in queste cinque notti, sia accaduto qualcosa
di molto più grosso, e di più profondo. Il Godot che per tanti anni
avevamo aspettato che comparisse sulla scena, si è finalmente
mostrato. È successo qualcosa che riguarda l’idea di comunità,
l'idea del ritrovarsi insieme, l'idea di partecipare in maniera
finalmente sensata, umana, viva, fraterna, alla vita pubblica di
questo paese, l'idea di tornare a fare davvero esperienza attraverso
la cultura e i libri, l'idea di poter vivere insieme in modo
solidale, pacifico ed emotivamente profondo, l'idea di dare a
centinaia di grandi autori ed editori provenienti da ogni angolo del
mondo la prova che in Italia succedono cose che possono diventare un
modello per l'estero, non è vero sempre e soltanto il contrario.
Questo è successo nell'imprevedibile
radioso maggio del 2017, qui a Torino. È successo che gli aerei che
adesso attraversano il cielo lungo le tratte di ritorno, diretti a
Parigi, a Londra, a New York, a Buenos Aires, a Santiago del Cile, a
Mumbay, sono pieni di alcuni degli autori più importanti al mondo,
alcune delle menti e degli spiriti migliori del XXI secolo, che prima
di partire ci hanno detto: «Abbiamo passato cinque giorni
indimenticabili, spiegateci come fate a fare quello che abbiamo visto
e vissuto, perché sarebbe bello che una cosa del genere – con uno
spirito del genere – ci fosse anche nel nostro paese». È successo
che molti italiani all’estero (tanti appartengono alla mia
generazione, e a quelle successive, e sono stati costretti ad
abbandonare i luoghi in cui sono nati negli anni scorsi) hanno potuto
vivere un momento di vero orgoglio, perché laggiù, nel loro paese,
stava accadendo qualcosa di importante.
Io, personalmente, che certi nodi
venissero al pettine per ciò che riguarda il funzionamento di un
certo modello, e di una certa idea di cultura, lo stavo aspettando da
molto tempo.
Questo Salone ha dimostrato molte cose,
che smentiscono sonoramente, completamente, una scuola di pensiero di
cui la gente è stanca, e venendo qui al Salone ha detto chiaro e
tondo qual è l’idea di cultura e l’idea di comunità in cui
ripone delle speranze.
Ad esempio, non è vero che se alzi il
livello il pubblico si restringe. Se alzi il livello, e lo fai in
un'ottica di vera inclusione, e di vera partecipazione, può capitare
che il pubblico smetta di essere pubblico, rompa il guscio odioso che
separa la società dello spettacolo dalla vita reale, e (non più
pubblico) si trasformi di nuovo in una comunità di fratelli e
sorelle felici di esserci, e di vivere tutti quanti insieme. Questo,
è successo qui negli ultimi 5 giorni.
Tutto questo è stato chiaro sin da
giovedì, quando alla nove del mattino, una folla enorme si è
presentata davanti ai cancelli del Lingotto. Ma ciò che ha iniziato
a succedere a partire da sabato, è stato veramente impressionante,
di quelle cose che tolgono il fiato, e a loro modo segnano un momento
storico, o danno il polso di un momento storico, o meglio rivelano la
vera faccia di un momento storico, in un modo che gli analisti e i
metereologi non erano stati in grado (fino a quel momento) di
prevedere e di mettere a fuoco. A un certo punto la realtà si
mostra, e tutto ciò con cui l’avevi travestita
Mentre la gente faceva file
interminabili, affollava gioiosamente, fino ai limiti della capienza
il Lingotto, sentendo parlare Luis Sepulveda, Daniel Pennac, Annie
Ernaux, Yasmina Reza, Richard Ford, Giorgio Agamben, Amitav Ghosh,
Eugeny Morozov, Luciano Canfora, Dacia Maraini, Paco Ignacio Taibo
II, padre Alejandro Solalinde, Sonia Bergamasco, Goffredo Fofi, e
così via... mentre accadeva tutto questo, la sera ha cominciato (per
esempio sabato), a scendere sulla città. A Mirafiori c’erano
Sandro Baricco e Francesco Bianconi che leggevano "Furore"
di Steibeck, e Mirafiori era piena di gente, c'era in contemporanea
al Circolo dei Lettori Giordano Meacci che faceva un reading su Bob
Dylan, e il Circolo era pieno di gente, e poi, alla Scuola Holden,
c'era una festa lunghissima e bellissima dedicata a Twin Peaks e a
Laura Palmer, e la Scuola Holden era piena di gente, c’era all’Ex
Incet un concerto dedicato ai Velvet Underground, e l’Ex Incet (il
villaggio notturno del Salone) era pieno di gente, e ha continuato a
esserlo fino a quando, alle sei del mattino, ci sono state le lezioni
di tango, e alle sei del mattino (dopo la lunga notte del Salone)
l’ex Incet era pieno di donne e di uomini che salutavano il nuovo
giorno ballando il tango.
Che cosa significa tutto questo?
Significa che Torino, con il suo Salone
e al di là del Salone, attraverso i libri e la cultura (questo ci
stanno dicendo le centinaia di migliaia di donne e uomini, ragazze e
ragazzi che ci si sono stretti intorno) si propone per gli anni a
venire come uno dei più importanti laboratori di democrazia, pace, e
convivenza civile a livello europeo. Quello che è successo (per come
è successo, per la statura e l'importanza degli autori coinvolti, e
per il numero di persone che ci ha partecipato) non ha soltanto un
valore nazionale, ma ha una valenza continentale.
E allora...
Primo
Questo non sarebbe mai stato possibile
senza gli Amici del Salone, e senza gli altri editori che ci hanno
sostenuto – nessun tavolo istituzionale che si voglia fare sul
futuro del Salone, a cui siano invitati degli editori, potrà più
fare a meno di loro.
Secondo
Ringrazio la sindaca Chiara Appendino,
e il Presidente della Regione, Sergio Chiamparino, per come hanno
creduto in questi mesi a questo magnifico progetto. Senza il loro
coraggio, e senza la loro saggezza (per l'occasione sono stati saggi
e coraggiosi), tutto questo non sarebbe neanche iniziato. Cara
Chiara, caro Sergio: il fatto che apparteniate a due diversi, per
certi versi opposti schieramenti politici, aumenta il valore della
vostra impresa. Al di là dei diversi schieramenti politici... Siamo
tutti italiani: ci siamo ricordati di esserlo (tutti italiani) nel
1948, è un bene che ce ne siamo ricordati alle soglie del 2018.
Terzo
Per la portata straordinaria di quello
che è successo, il Salone è chiaramente un patrimonio quantomeno
nazionale (è un laboratorio e un modello prezioso per l'intero
paese), di conseguenza ci aspettiamo che questo modello sia difeso e
sostenuto a livello nazionale, lasciando al Salone l'autonomia di cui
ha goduto quest'anno e di cui avrà ancora più bisogno negli anni a
venire.
Sono felice, dunque, che a inaugurare
questa edizione siano venuti la ministra Valeria Fedeli e il ministro
Dario Franceschini. Il mio appello è a loro: ciò che è successo in
questi giorni ha una tale portata, che non esiste strategia o calcolo
politico che possa resistervi, se riteniamo che il bene comune sia
l'obiettivo di noi tutti.
Cara ministra Fedeli, a lei vanno i
nostri saluti più grati e affettuosi: ci rivedremo spero presto.
libro che scavalca un muro. Questo vale per la complessa situazione
in cui versa il mondo, un mondo ancora pieno di guerre, lacerazioni,
e terribili disuguaglianze. Ma questo non dovrebbe valere all’interno
del mondo del libro, in un paese come l'Italia. Ministro
Franceschini, venga da questa parte e ci aiuti a buttare giù quel
muro!
Quarto
Liberate le energie. Liberate la
creatività. Fate sì che (all'interno del mondo dell'editoria) le
regole della creatività e del desiderio prevalgano su quelle
dell'obbedienza, se obbedire significa privarsi di qualcosa di
prezioso.
I grandi gruppi editoriali che
quest'anno non sono venuti al Salone, sono invitati per il prossimo
anno. Vi aspettiamo a braccia aperte. Abbiamo bisogno delle vostre
idee, della vostra competenza, della vostra capacità di coniugare
cultura e spirito d'impresa. Ma anche voi: aiutateci a tirare giù
quel muro.
Parlo per un attimo a titolo personale.
Parlo da scrittore, prima ancora che da direttore del Salone del
Libro. Come autore Einaudi, mi sono sentito francamente mortificato
per come la casa editrice i cui dirigenti e i cui autori un tempo
morivano o andavano in esilio per le proprie idee, sia stata
costretta nel 2017 a una lunga faticosa trattativa per ottenere un
piccolo stand nella propria stessa città. Amici di Mondadori – vi
sento vicini, con molti di voi ci conosciamo da anni e c'è stima
reciproca: per cui posso davvero dire «amici di Mondadori»... Amici
di Mondadori, aiutateci a fare di questo Salone qualcosa di ancora
più bello e più prezioso. Lasciate che gli amici di Einaudi siano
restituiti al Salone della loro stessa città, e possano aiutare la
propria stessa città a restare una delle vere eccezioni culturali
non di questo paese, ma di questo continente. Ne beneficeremo tutti.
Ovviamente questo vale per tutti gli
editori con cui quest'anno abbiamo dialogato a una maggior distanza
di quanto avremmo voluto. Ritroviamoci in uno spirito di vera
amicizia, e di vera collaborazione. La vita è una e non ritornerà,
l’occasione che ci è data come esseri mortali non verrà una
seconda volta – questa volta abbiamo l'occasione di lasciare
veramente un segno, facciamolo insieme.
Quinto, e ultimo
Il progetto per il Salone del 2018 sta
già prendendo corpo. Stiamo già preparando il tema, stiamo già
tracciando le forme di quello che sarà. L’auspicio è insomma che
questo sia solo l’inizio, o meglio il giro di boa per i prossimi 30
anni. Chi vi parla, aiuterà il Salone giusto per un altro
pezzettino. Che il Salone si debba fare, che si debba fare a Torino,
e che si debba fare a maggio, non lo decidiamo noi, non lo decidono
le case editrici, non lo decide la politica. Lo ha deciso l’enorme
popolo di fratelli e sorelle che ha invaso pacificamente questa città
negli ultimi giorni.
Ci vediamo qui a Torino, dal 10 al 14
maggio del 2018.
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