Il 7 febbraio 1563, quando il duca Emanuele Filiberto entrò
trionfalmente a Torino, dopo il Trattato di Cateau Cambrésis, che aveva
restituito ai Savoia il loro ducato, aveva le idee molto chiare sulle misure di
difesa che avrebbe adottato per la sua nuova capitale (Emanuele Filiberto aveva appena
trasferito la capitale da Chambery a Torino, per spostare verso l'Italia le
mire espansionistiche della sua dinastia).
Vincitore della battaglia di San Quintino, abile stratega di battaglie, esperto
conoscitore delle fortezze e delle mura delle Fiandre, le terre in cui aveva sviluppato
la sua carriera militare, al servizio di Filippo II, il 35enne duca sabaudo,
voleva per la sua capitale una difesa all'avanguardia, che la rendesse
inespugnabile, nonostante la fragile posizione di passaggio tra le
Alpi e la Pianura Padana, tra il Regno di Francia e i domini spagnoli lombardi.
Per questo chiamò a corte l'architetto urbinate Francesco Paciotto, che stava realizzando
per i Farnese la cittadella di Parma. Esponente d'avanguardia della nuova
architettura militare, concepita proprio in Italia, dopo l'introduzione della
polvere da sparo, che rendeva inefficaci le alte mura medievali, Paciotto disegnò
per Torino una delle cittadelle più moderne dell'epoca, presa poi a modello per
le analoghe costruzioni delle Fiandre. Occupava circa 20 ettari, tanti quasi
la metà della città medievale che doveva difendere, aveva la forma di una grande
stella pentagonale e si trovava nell'angolo sud-ovest delle mura della città,
il più scoperto in caso di attacco degli eserciti provenienti dalle Alpi.
La forma pentagonale non era casuale, era, anzi, il risultato delle ricerche
dell'architettura militare italiana, davanti alle invasioni francesi. Il
pentagono, adeguatamente fortificato agli angoli, era la figura che meglio
permetteva il fuoco incrociato sugli assedianti, offrendo riparo agli assediati.
Questo concetto venne ulteriormente perfezionato nella cittadella torinese, diventando
un esempio di difesa in tutta Europa.
Nel libro Gli assedi di Torino di Claudia
Bocca si legge: "Pentagono quasi regolare, presentava ai vertici cinque
bastioni uguali, con i fianchi ritirati, in cui erano state create delle specie
di terrazze, dette piazze basse, da cui si potevano impiegare mezzi detti
traditori, perché permettevano di colpire gli attaccanti all'improvviso, con
risultati micidiali sul nemico. Attorno, un ampio fossato asciutto, con cunette
per smaltire le acque, chiuso da un muro di controscarpa molto robusto, su cui
correva un percorso protetto al tiro e alla vista dall'esterno, con banchine da
tiro e palizzate. Bisogna segnalare inoltre che la controscarpa non era un
semplice pendio erboso, ma era rivestita in mattoni. Nel primo caso, più
economico ed economico da predisporre, quindi più diffuso, la discesa del
nemico nel fossato sarebbe stata facilitata. Il muro, invece, alto e spesso,
obbligava all'uso dell'esplosivo, per praticare dei varchi, o di corde e scale,
che riducevano alla mercè dei difensori".
L'uso dell'esplosivo, sia da parte degli assedianti che degli assediati, sembra
essere stata una delle principali preoccupazioni dell'autore della Cittadella
torinese. E fu una delle più grandi preoccupazioni delle potenze europee, che
vedevano come il piccolo Ducato che occupava i due versanti delle Alpi,
stato-cuscinetto tra la Lombardia spagnola e la Francia, si preparava a strenue
resistenze. La Cittadella fu dotata di
una complessa e fitta rete di gallerie sotterranee, in grado di respingere gli
attacchi all'interno e di fare strage nel campo nemico. Invano i sovrani
stranieri tentarono di infiltrare le proprie spie tra la manovalanza: a
realizzare la parte più segreta e importante della sua Cittadella, Emanuelle
Filiberto chiamò solo operai del suo Ducato, possibilmente della stessa area
torinese, in modo che si sentissero doppiamente implicati nel segreto della sua
costruzione. Le prime gallerie realizzate furono quelle di contromina, scavate
lungo il perimetro delle mura, a circa 5-6 metri di profondità, per controllare
meglio le eventuali esplosioni nemiche convogliando i loro gas, e per avere la possibilità di ascoltare i lavori degli assedianti e, dunque, di
prendere le opportune contromisure. Le gallerie di contromina volute da
Emanuele Filiberto si allungavano verso la campagna, dalla grande galleria ad
anello, proprio per poter studiare e anticipare le mosse dei nemici.
Ma questo complesso ed efficace sistema sotterraneo voluto dal duca, fu poi
perfezionato dai suoi successori, tanto che la Cittadella torinese arrivò a
poter contare su ben 21 km di gallerie sotterranee. "Sotto ogni bastione
principale (i tre rivolti verso la campagna) e sotto le due mezzelune interposte
tra i primi, partono le cinque grandi gallerie radiali, dette Capitali, i cui
ingressi si trovavano nel cortile interno della Cittadella "scrive Claudia
Bocca nel suo libro. Queste gallerie proseguivano in discesa, fino a 13-14
metri di profondità, "quasi a filo della falda d'acqua che scorre sotto
Torino, in modo che nessuno potesse costruirne al di sotto. Abbassatesi sotto
il fossato, che in ogni epoca fu sempre asciutto, le Capitali si sdoppiavano in
due gallerie, distinte e sovrapposte, collegate da una scala di mattoni e da
diversi cammini di aerazione. La Capitale alta, che correva a 6-8 metri di
profondità, terminava sotto la freccia, opera di superficie che rappresentava
la punta più esterna del complesso fortificato. (…) Le Capitali basse
proseguivano ancora per 300 metri verso l'esterno e si arricchivano lateralmente
di numerose ramificazioni, che terminavano dopo circa 60 metri, in fornelli da
mina (circa 150). (…) Oltre alle gallerie capitali, dalla fortezza si
staccavano altri percorsi radiali, a loro volta ramificati. Tutti i raggi erano
collegati tra loro dalla lunga galleria anulare, detta Magistrale, di circa
2500 metri. Un sistema alquanto complesso, che nella sola parte riferita alla
Cittadella aveva uno sviluppo di 14 chilometri."
Torino poteva insomma combattere anche una veloce ed efficace guerra
sotterranea, che la rendeva ancora più difficilmente prendibile, come, 140 anni
dopo, avrebbe dimostrato il più celebre dei suoi assedi, quello del 1706.
Cosa è stato di questo complesso sistema di difesa sotterraneo? La Cittadella
venne purtroppo abbattuta nella seconda metà del XIX secolo, quando si decise
che era ormai inutile per la difesa cittadina ed era un ostacolo per
l'espansione di Torino. Lamenteremo mai abbastanza la distruzione di questo
gioiello militare, che sarebbe potuto essere una delle grandi attrazioni
turistiche di Torino, la testimonianza più grande del suo intenso passato e uno
dei poli culturali più affascinanti della città? Fatto sta che della possente
Cittadella che tutte le grandi potenze europee tentarono invano di studiare,
rimane oggi solo il possente maschio, sede del Museo Nazionale d'Artiglieria,
da cui è possibile scendere solo in una parte della rete di difesa sotterranea;
il complesso non è arrivato completo a noi; in parte è stato riempito per le
nuove costruzioni, in parte è stato conservato e utilizzato, durante la Seconda Guerra mondiale, come rifugio per i cittadini durante i bombardamenti aerei.
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