Alla Reggia di Venaria Reale, è
finalmente entrata nel percorso di visita la Fontana dell'Ercole Colosso, frutto di un
ambizioso restauro realizzato dalla Consulta di Torino, con
Fondazione Compagnia di San Paolo, Intesa Sanpaolo, Reale Mutua,
Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, A.V.T.A. – Amici Reggia
Venaria Reale, Iren.
Il complesso, sistemato nel dislivello tra i
Giardini e il Parco Basso, fu disegnato tra il 1669 e il 1672 da
Amedeo di Castellamonte, "era costituito da scalinate e
padiglioni, ninfei e grotte preziosamente decorati, giochi d'acqua e
un grandioso apparato decorativo, dominato dall'Ercole Colosso,
collocato al centro della grande vasca" spiega il comunicato
stampa. Una grandiosa macchina scenografica barocca, ispirata alle
architetture romane (mi fa sempre pensare al Serapeion di Villa
Adriana, che chiudeva il lungo canale del Canopo) e al dialogo tra la
natura idealizzata e l'architettura. "Ideato e realizzato per il
loisir e impostato su un raffinato gioco di rimandi allegorici e
allusioni mitologiche, dava lustro alla dinastia sabauda, di cui
incarnava il desiderio di rivaleggiare con le più grandi corti delle
monarchie europee" sottolinea il comunicato.
Ma la gloria
dell'Ercole Colosso e della sua fontana durò poco. Terminato il
regno di Carlo Emanuele II, cambiati i gusti e intervenute le guerre,
l'intero complesso fu smantellato in pochi decenni: statue e
apparato decorativo furono utilizzati in altre residenze, quello che
restava fu interrato.
Solo in questi ultimi anni, con il
cantiere di restauro della Reggia, il più grande d'Europa, l'antico
padiglione castellamontiano è ritornato alla memoria, fino al
progetto di recupero, frutto di collaborazione tra pubblico e
privato. Il restauro tiene ben separate e leggibili le
strutture originarie dagli interventi contemporanei, si basa, spiega
l'architetto Gianfranco Gritella, che lo firma, di un "'intervento
leggero', richiamato a dare forza all'idea di un
restauro sostenibile, attraverso l'uso di due materiali storici,
legno e ferro, entrambi utilizzati con sistemi di montaggio che ne
consentono una completa reversibilità". L'approccio usato è
quello archeologico, che consolida l'esistente, lasciandolo a vista,
e aggiunge elementi contemporanei, che ricostruiscono la memoria di quanto è andato perduto. Per esempio, "all'interno delle 'grotte' del
ninfeo, sono stati restaurati i mosaici con centinaia di conchiglie
impiegando parte del materiale originario ritrovato negli scavi e
parte mediante calchi e impronte ricavate dalle conchiglie ancora in
sito"; ma "le parti del ninfeo più importanti dal punto di
vista architettonico sono state reintegrate all'acquerello
ricomponendo a colori sottotono le decorazioni perdute là ove si
avevano tracce e residui tali da comprenderne il disegno perduto".
Si è ricostruita memoria, senza tradire quello che è davvero
rimasto. Un altro esempio sono le belle coperture piane laterali,
realizzate per ricordare le antiche scale monumentali che dalla
Reggia scendevano alle "grotte", riprendendone l'andamento
sinusoidale. "La disposizione radiale dei pilastri in acciaio fa
sì che il loro ingombro sia nettamente inferiore a qualsiasi altra
soluzione tecnologica consentendo di alleggerire l’impatto formale.
La profondità e il ritmo di ciascun gradone, con settori curvilinei
uguali tra loro per entrambe le due 'tenaglie', corrispondono
alla scansione gradinate/pianerottoli che caratterizzava le due scale
secentesche"
Il caldo allucinante di questi giorni mi
impedisce di fare molte cose, ma non appena le temperature torneranno
umane, la Reggia di Venaria Reale sarà un must, per vedere
finalmente dal vivo questo restauro grandioso, che restituisce
l'ultimo tassello del suo antico splendore.
Le foto sono di Andrea Vallone (la prima) e Paolo Robino (le altre).
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