Il 7 febbraio 1563, 551 anni fa a oggi, il duca Emanuele
Filiberto di Savoia entrava trionfalmente a Torino, accompagnato dalla moglie,
la principessa francese Margherita di Valois. Il Trattato di Cateau Cambresis
aveva restituito ai Savoia i loro possedimenti e il 35enne duca sabaudo aveva
deciso di spostare gli interessi della sua dinastia in Italia, dove vedeva
maggiori possibilità di espansione, trasferendo la capitale da Chambery a
Torino.
Noi torinesi impariamo da bambini che Emanuele Filiberto è la statua di piazza
San Carlo, che juventini e torinisti cingono sempre con la propria sciarpa, per
celebrare le vittorie delle loro squadre, e che è il sovrano a cui Torino tutto
deve, avendola trasformata in capitale del proprio Ducato. Sappiamo anche che è
l'eroe della Battaglia di San Quintino, ed è al ritorno di questa battaglia,
mentre inguaina la spada, che è stato immortalato da Carlo Marocchetti, nella
sua statua più famosa, quella di piazza San Carlo.
Ma alzi la mano chi sa davvero cosa successe a San Quintino, in Francia, il 10
agosto 1557.
Siamo negli anni di Felipe II, che si trovò a combattere le ansie di
indipendenza delle Fiandre, le eresie delle religioni protestanti e le mire
espansionistiche della Francia. Il ducato di Savoia si trovava stretto tra la
Francia e il Milanesato, controllato dalla Spagna; le sue terre venivano
continuamente perse e riconquistate; nella prima metà del XVI secolo, il duca
Carlo II, padre di Emanuele Filiberto, fu privato dalla Francia di buona parte
dei suoi territori. Fu naturale, per suo figlio, passare al servizio della
Spagna, l'arci-nemico dei re di Francia, per cercare di recuperare l'antico
ducato della sua dinastia. Alla frontiera tra le Fiandre e la Francia, ad agosto
1557, Emanuele Filiberto assunse la guida di un esercito riunito da Felipe II,
contando anche sull'appoggio della moglie inglese, l'ultima regina cattolica,
Maria Tudor, composto da circa 60mila soldati spagnoli, inglesi e fiamminghi.
Con i suoi uomini, il duca sabaudo decise di sorprendere i Francesi, con un
movimento che fece credere loro che avrebbe invaso lo Champagne e avrebbe quindi
assediato Guisa. I Francesi caddero nel tranello e riunirono ingenti forze per
inviarle a Guisa e difenderla. Ma il vero obiettivo di Emanuele Filiberto era
San Quintino, una località della Piccardia, difesa solo da un piccolo
contingente, comandato da un capitano. Il 2 agosto l'esercito guidato dal duca
si impadronì di un villaggio alle porte di San Quintino; il 3 agosto i Francesi
riuscirono a far entrare nella cittadina una piccola truppa di rinforzo di 500
uomini, avanguardia di un esercito di 30mila uomini costretto a marciare a tappe
forzate. A guidare l'esercito francese c'era il contestabile Anne de Montmorency,
con il fratello Andelot, che gli spagnoli cercarono invano di intercettare. Il 10 agosto, Montmorency si fece guidare dalla scarsa stima che
nutriva per le capacità militari di Emanuele Filiberto e compì una serie di
errori fatali. Il primo fu il cambio di strategia: al principio pensava infatti
di inviare un'avanguardia a San Quintino, facendole attraversare il fiume Somne,
su cui sorgeva la piazzaforte, in modo da rafforzare le sue difese, mentre
l'esercito riposava nel vicino bosco di Montescourt; poi cambiò idea e, invece
di lasciare le sue truppe a riposo, mentre l'avanguardia attraversava il fiume,
le fece schierare. In questo modo lasciò la porta aperta all'esercito spagnolo,
che fu in grado di superare il ponte di Rouvroy e sorprendere i Francesi in
mezzo al guado. E non solo, il gruppo guidato da Andelot, superato il fiume, si
trovò davanti gli archibugi spagnoli, che fecero strage tra i soldati: meno di
una decina di francesi riuscì a riparare a San Quintino, tra loro lo stesso
generale Andelot, ferito.
L'esercito spagnolo riuniva in realtà uomini di mezza Europa: non solo al suo
comando c'era un sabaudo, ma l'ala destra, formata da soldati spagnoli e
francesi era guidata da Alonso de Cáceres; al centro c'erano, guidati da Julian
Romero, spagnoli, borgognoni e inglesi; alla sinistra le temute truppe di
Savoia, sotto la guida di don Alonso de Navarrete; a chiudere la formazione, i
cavalieri fiamminghi, agli ordini del Conte di Egmont. Furono i fiamminghi di
Egmont a costringere Montmorency a rifugiarsi di nuovo nel bosco da cui non
sarebbe dovuto uscire, mentre la cavalleria francese, guidata dal Duca di Nevers
Luigi Gonzaga riusciva appena a contenere l'attacco. Il ponte sul fiume Somne,
che Montmorency aveva giudicato stretto, non lo era così tanto: Emanuele
Filiberto riuscì ad attraversarlo in poco tempo e fece costruire barche e
zattere per attraversarlo con un maggior numero di truppe, mentre la cavalleria
di Egmont riusciva a evitare il contrattacco del duca di Nevers e a infilarsi
nel bosco, dove si era rifugiato Montmorency. E fu lì, nel bosco, che il
generale francese fu costretto a dare battaglia, cercando di schierare le truppe
come meglio poteva.
Per la Francia fu un disastro. La retroguardia era ancora inseguita da Egmont,
Emanuele Filiberto guidava le truppe al centro, mentre le sue ali caddero con
violenza sui francesi, messi in netta difficoltà dalle costanti cariche degli
archibugieri spagnoli. Vista la carneficina, l'inferiorità numerica e
l'impossibilità di resistere, 5mila mercenari tedeschi dell'esercito francese
decisero di arrendersi. Montmorency, che aveva cercato la morte in battaglia,
vedendo tutto perduto, fu catturato da un soldato spagnolo. L'esercito francese
perse 12mila uomini, altri 6mila vennero fatti prigionieri, tra loro c'erano
diversi aristocratici tra cui i duchi di Montpensier e di Longueville, oltre
allo stesso Montmorency.
Felipe II decise di celebrare la vittoria facendo costruire il Monastero di San
Lorenzo de El Escorial, dedicato a San Lorenzo, santo del giorno della sua
vittoria. Poi si congratulò con Emanuele Filiberto e fece un errore che il duca
sabaudo non avrebbe commesso: con la Francia sotto choc per la durissima
sconfitta a San Quintino e indebolita dalle perdite, decise di non attaccare
Parigi, almeno fino a quando San Quintino non fosse caduta completamente in mani
spagnole. Emanuele Filiberto avrebbe preferito attaccare Parigi, perché
prendere la capitale di Francia in quei giorni di choc e difficoltà avrebbe
significato cambiare la storia d'Europa. San Quintino, assediata, si arrese il
27 agosto. La sorprendente vittoria spagnola e il disastro
francese entrarono a lungo nell'immaginario europeo: ancora oggi in spagnolo si
dice armarse la de San Quintín, che corrisponde al nostro Facciamo un
48, per ricordare un'altra data che segnò la storia d'Europa.
Nel 1559, Spagna e Francia firmavano la Pace di Cateau Cambresis, con la quale
la Francia rinunciava praticamente al dominio in Italia e nelle Fiandre. Era
l'apogeo della potenza spagnola, capace di influenzare i destini del mondo
dall'Impero americano fino alle Fiandre e all'Italia. Sarebbe durata poco, ma in
segno di ringraziamento per la vittoria decisiva che gli aveva consegnato, il
sovrano spagnolo impose la restituzione del suo Ducato a Emanuele Filiberto. E
questi, d'altra parte, rassicurò il re di Francia, Enrico II, sposando, a 33
anni, sua sorella Margherita, non più giovanissima (aveva tre anni più del
marito), ma intelligente, colta, interessata alle arti e leale sostenitrice del
progetto politico che il marito aveva in mente per il suo Ducato.
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