Come tutte le principesse francesi
diventate duchesse di Savoia, anche Margherita di Valois era colta, raffinata
e, soprattutto, energica. Figlia di Francesco I e di Claudia di Francia, orfana
di madre sin dall'infanzia, crebbe in una corte elegante, con molti stimoli culturali,
che la interessarono più di lussi e frivolezze. Il suo destino incrociò quello
di Emanuele Filiberto nel 1559, quando lei era ormai 35enne e lui era 30enne.
Lei era considerata ormai una zitella, lui era il più brillante condottiero
della sua generazione. Lei aveva raccolto intorno a sé letterati e poeti, in
una corte di raffinata eleganza, lui aveva battuto l'esercito francese a San
Quintino, nel nome di Felipe II di Spagna. Lei era figlia e sorella di Re, lui
era il duca solo nominale di un Ducato al confine tra due culture.
Nel 1559, il Trattato di Cateau Cambresis stabilì che a Emanuele Filiberto
sarebbe stata restituita buona parte dei suoi possedimenti. Il Duca, però,
doveva sposare Margherita, la sorella di Enrico II. La leggenda vuole che i due
fossero già legati da una tenera simpatia a causa di un incendio scoppiato al
Louvre, da cui lui, ospite del re di Francia, fu prontamente salvato da lei.
Leggenda a parte, il matrimonio fu soprattutto una necessità politica e come
tale fu considerato, soprattutto dallo sposo: la Francia avrebbe restituito
Torino, Chivasso e Pinerolo, con relative appartenenze e fortezze, solo in un
periodo di tempo compreso tra i sei mesi e i tre anni dalla celebrazione del
matrimonio. Siano vere o no le leggende, Emanuele Filiberto non ebbe poi
alleato più leale della moglie, nella ricostruzione del Ducato sfiancato dalla
guerra.
Emanuele Filiberto arrivò a Parigi il 21 giugno 1559 da Bruxelles. I capitolati
matrimoniali furono firmati il 28 giugno, pochi giorni dopo le altre nozze
volute dal Trattato di Cateau Cambresis, quelle tra la 13enne principessa
francese Elisabetta e il re spagnolo Felipe II. Parigi era in festa, si
celebravano balli e tornei e fu proprio durante uno di questi tornei che Enrico
II fu mortalmente ferito a un occhio. Nella sua agonia, il re francese volle però che il
matrimonio della sorella venisse celebrato, così Emanuele Filiberto e
Margherita si sposarono nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1559.
Poco dopo il matrimonio, la coppia si separò. Restituito il Governatorato delle
Fiandre agli Asburgo, Emanuele Filiberto raggiunse i suoi possedimenti, per
rendersi conto della situazione e per preparare l'accoglienza per la moglie.
Margherita rimase a Parigi per ultimare il corredo e per chiudere le pendenze
che aveva in Francia. Quando, a gennaio 1560, lasciò finalmente la capitale, fu
rimpianta dai letterati di cui si era circondata, e dalle dame di Corte, a
cominciare dalla cognata reggente, la potente e terribile Caterina de' Medici.
A Nizza, Margherita si riunì con il marito e insieme, scortati dalle galee
Margarita, Sole e Piemontese, raggiunsero Savona via mare. In Piemonte i Duchi
ricevettero accoglienze trionfali in ogni cittadina attraversata ed Emanuele
Filiberto gettava le basi del suo nuovo Stato. Il primo grave problema che
dovette affrontare fu la presenza degli eretici nelle valli alpine. Molto più
tollerante di quanto il Papa e le potenze cattoliche potessero sopportare,
Emanuele Filiberto affrontò la questione religiosa più per le pressioni esterne
che per le convinzioni personali. Ed ebbe la prima prova di quanto sua moglie
sarebbe stata leale al suo fianco. Cattolica, pia e praticante, Margherita era
però di mente piuttosto aperta, grazie anche all'ambiente colto in cui aveva
vissuto. Fu infatti grazie alla sua mediazione che Emanuele Filiberto e i
ribelli valdesi raggiunsero un accordo a Cavour, il 5 giugno 1561. Un accordo
rivoluzionario, in un'Italia avviata verso l'intolleranza della Controriforma e
l'ingerenza dell'Inquisizione: il Duca restituiva ai Valdesi le proprietà e i
privilegi e concedeva loro la libertà di culto, entro limiti stabiliti, solo
nelle loro valli.
E fu ancora Margherita, diventata nel frattempo madre di Carlo Emanuele, nato
nel 1562, a convincere Enrico III di Francia a rispettare il Trattato e a
restituire ai Savoia le città e le fortezze ancora in mano francese. I Duchi
entrarono trionfalmente a Torino, la loro nuova capitale, il 7 febbraio 1563.
Si recarono prima in Duomo e quindi nell'adiacente Palazzo Vescovile, che pochi
anni dopo Emanuele Filiberto avrebbe trasformato in Palazzo Ducale, dando il
via alle grandi trasformazioni della città romana in capitale del Ducato
sabaudo. Con la conquista della capitale, la rifondazione dello Stato poteva
cominciare.
I Savoia vengono generalmente accusati di essere stati poco interessati alla
cultura, rispetto alle dinastie regnanti coeve: i Gonzaga, gli Este, i
Visconti, i Medici sono stati grandi mecenati, senza i quali il Rinascimento
italiano sarebbe inconcepibile. I Savoia, con un territorio costantemente
minacciato dalle mire delle potenze straniere, a causa della sua posizione, non
hanno mai manifestato interesse per l'arte e per la cultura. Per loro, forse,
valeva il primum vivere, visto l'invadente vicino francese e le mire spagnole.
Emanuele Filiberto cambiò la tendenza: colto e brillante, con una moglie
intelligente e raffinata, ospitò a Torino intellettuali, artisti e architetti.
Emanuele Filiberto ospitò Torquato Tasso e Andrea Palladio, che, si dice, gli
consigliò l'acquisto del Castello del Valentino per la moglie. E qui la
duchessa prese a passare buona parte del suo tempo, dedita alla cura dell'unico
figlio, su cui riversava l'affetto che non trovava nel suo matrimonio.
Risolta la successione dinastica, Emanuele Filiberto e Margherita non ebbero
ulteriore vita affettiva, però sì rimasero sempre legati dalla lealtà e dalla
comune visione del futuro del loro Stato. Si dice che dopo la morte della
moglie, Emanuele Filiberto portasse sempre una croce fatta di margherite, con
una scritta che potrebbe essere doppiamente interpretata: "Chi non potrebbe
dirne lodi?" Dal XIX secolo Margherita è sepolta nella Sacra di San Michele e
oggi si celebrano i 490 anni dalla sua nascita.
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