Chissà se ci renderemo mai conto di
tutti i
danni che l'Ottocento, soprattutto nella sua seconda metà,
ha fatto al
tessuto urbano di Torino. Non solo l'imperdonabile
demolizione della Cittadella, ma anche quella della
Torino medievale,
che si estendeva nell'area dell'attuale Parco Archeologico delle
Torri Palatine, tra Palazzo Reale, via di Porta Palatina, piazza San
Giovanni. Era il cosiddetto
Quartiere Svizzero, "cresciuto in
modo disordinato, secondo le esigenze del momento, intorno alla prima
residenza costruita da Emanuele Filiberto sulle strutture delle
antiche case dei canonici del duomo, nella zona della scomparsa
basilica paleocristiana di San Salvatore, nella parte più antica e
di maggiore importanza archeologica dell’intera città. Sotto il
Bastion Verde, sul futuro corso Regina Margherita, già esistevano il
Fabbricato delle Cacce e la Scuola Tecnica Municipale" come
scrive
Filippo Morgantini in
Un Palazzo sul Teatro Romano. Vicende
torinesi alla demolizione del Quartiere Svizzero e del Bastion Verde,
scritto per il
Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e
Belle Arti e riportato
da academia.edu. Era un quartiere perfetto per gli
sventramenti cari alla
seconda metà dell'Ottocento, per accelerare il
risanamento delle
città: le vie strette, le condizioni igieniche deplorevoli, le
possibili epidemie, la delinquenza endemica.
Nel
1885 si approvarono la
demolizione del quartiere e la
costruzione di un nuovo asse,
l'attuale via XX settembre.
Questo implicava "espropri dispendiosi, complesse demolizioni,
grandi lavori di sterro e il completo abbattimento del Bastion
Verde", così l'architetto capo dell'Ufficio Tecnico della Real
Casa di Torino
Emilio Stramucci presentò un progetto, che prevedeva
solo la demolizione della "stretta fascia del Palazzo di San
Giovanni prospiciente la via delle Scuderie reali, dell'intera
Palazzina Palagi sopra il Bastion Verde, obbligatoriamente in quanto
la nuova via doveva scendere sotto il bastione superando un
dislivello di circa 6 metri, e una piccola parte del Fabbricato delle
Cacce. Sulla nuova via XX Settembre si sarebbero costruiti due lunghi
corpi di fabbrica, uno più in basso, del tutto autonomo, l'altro in
continuità con il Palazzo di San Giovanni, a chiusura delle corti
aperte con le demolizioni".
Numerosi problemi legati ai
dislivelli, agli espropri e ai pochi vantaggi per la Casa Reale,
cambiarono varie volte il progetto, costringendo Stramucci ad
accontentare sia il Monarca che il Municipio, tra forti pressioni e
poche intenzioni di investimento da entrambe le parti in causa.
Anche
il progetto dell'attuale Manica Nuova, arretrata rispetto a via XX
settembre, in modo da ricavarne ampi spazi a giardino, fu oggetto di
numerosi cambiamenti e
rimaneggiamenti, per questioni economiche e per l'approvazione da
richiedere ogni volta al Monarca, a Roma. Mentre la Città aveva
avviato e completato i lavori di costruzione della nuova via, la Casa Reale era in netto ritardo, causando così attriti
con le autorità locali. A
complicare la vicenda arrivò anche il
ritrovamento dei resti del Teatro Romano. Un ritrovamento che
appassionò pochi intellettuali torinesi e che sostanzialmente
infastidì sia la Real Casa che il Municipio.
Del resto, la
sensibilità dell'epoca verso la tutela dei palazzi antichi era molto
diversa da quella odierna: nel Quartiere Svizzero c'erano anche la
Casa del
Vescovo e il
primo Palazzo in cui visse il duca Emanuele Filiberto,
quando trasferì la capitale da Chambery a Torino, tutti edifici che
avevano un certo
pregio architettonico e che, comunque,
testimoniavano i
mportanti pagine della storia torinese. Furono tutti
abbattuti senza particolari rimostranze da parte di chi avrebbe
dovuto tutelarli. Quando, nei primi lavori per la costruzione della
Manica Nuova, furono trovati i resti romani, la Casa Reale, quasi
infastidita e solo dopo molte insistenze, diede il permesso per
studiarli, ma
non dimostrò alcuna sensibilità culturale e storica
sull'argomento. Per capire cosa Torino ha perso, in quell'opera di
demolizione e di risanamento, bastano poche parole di
Alessio
Taramelli, riportate da Morgantini: "Fu appunto nello scavo per
le fondazioni del nuovo palazzo, e nella demolizione di un vero
labirinto di vecchie muraglie, appartenenti a tutte le epoche della
Torino episcopale, ducale e reale che si trovarono i resti di un
edificio che si riconobbe subito per romano e, dopo qualche saggio
stabilì come il teatro della colonia".
Appartenenti a tutte le
epoche della Torino episcopale, ducale e reale: cosa non doveva
essere, quel Quartiere Svizzero!
Se lo scempio causato dalle
demolizioni non appassionò Torino, la decisione della Casa Reale di
costruire le fondamenta della sua Manica Nuova sul Teatro Romano e di
far poi sparire quello che rimaneva nella prevista sistemazione a
giardini, fino a via XX settembre, provocò le
proteste di Alfredo
D'Andrade, architetto e appassionato cultore d'antichità, oltre che autore di numerosi restauri e del Borgo Medievale torinese. D'Andrade indisse durissime conferenze stampa, esercitò forti
pressioni sul povero architetto Stramucci, poi trasferito a Firenze,
e ottenne che la sistemazione a giardini fosse sospesa. E ancora oggi
l'area ha un'aria provvisoria, con questa cavea ritrovata, che si
infila misteriosamente sotto la Manica nuova di Palazzo Reale (per
vedere la sua continuazione bisogna scendere nel bel Museo
d'Antichità, che cerca di fare giustizia e di offrire una sintesi
tra il nuovo Palazzo costruito dalla Casa Reale e i resti romani
rimasti intrappolati nelle sue fondamenta).