Il
Museo Ettore Fico ha sede in un
edificio ex industriale che ha ospitato per decenni, dagli anni 50
agli anni 80 del XX secolo, la
SICME, Società Industriale
Costruzioni Meccaniche ed Elettriche, specializzata nella costruzione
di
macchine per la smaltatura di fili di rame. Siamo in
Spina 4, in
un quartiere, quello della Barriera di Milano, ad
alta vocazione
industriale (a poca distanza dalla SICME c'erano la FIAT Grandi
Motori, la SIMA, Sezione Industrie Metallurgiche e Acciaierie, i
Docks Dora e, nello stesso isolato della SICME, l'INCET). Esattamente
il tessuto urbano che
Andrea Busto, direttore del Museo Fico, cercava
per il nuovo Museo.
"Il nostro direttore
aveva le idee
chiare: voleva aprire il Museo Ettore Fico in un edificio ex
industriale e
in un'area periferica della città, ma facilmente
raggiungibile. Siamo capitati alla SICME
un po' per caso,
passeggiando nel quartiere, e appena abbiamo visto l'edificio ce ne
siamo innamorati. Era
come una cattedrale, una grande sala a navata
unica, altissima e con la luce dall'alto, era il contenitore giusto
per il progetto della Fondazione" racconta il responsabile
dell'ufficio stampa del MEF Giuseppe Galimi. Andrea Busto aveva già
chiara l'idea progettuale: "Volevamo un
percorso circolare
obbligatorio, in modo che il visitatore non potesse perdere niente di
quello che proponevamo nelle mostre; gli spazi dovevano essere
poliedrici, estremamente duttili, trasformabili in base alle mostre
che avremmo ospitato; il Museo che il Direttore aveva in mente era
lineare, con pareti bianche e libere. Il piano terra ha spazi fissi, è formato da
un ampio corridoio centrale su cui si affacciano
tre grandi sale; il piano superiore è
open space, con
pareti mobili che
formano gli spazi in base alle mostre. Per progettare il Museo,
Andrea Busto ha voluto un
architetto giovane, che condividesse la sua
idea del Museo e la plasmasse dal punto di vista architettonico: con
Alex Cepernich, il rapporto è stato perfetto".
Il Museo
Ettore Fico è stato per
Alex Cepernich il primo progetto importante
(
sul suo sito web trovate i progetti di riqualificazione a cui ha
lavorato/sta lavorando). Anche lui si è innamorato a prima vista del
grande spazio dell'ex SICME: "Era
una navata enorme, 100 metri
di lunghezza, per 10 di larghezza per 17 di altezza,
un grande
parallelepipedo vuoto che permetteva di elaborare lo spazio interno
con
molta libertà. Il Direttore aveva le idee molto chiare, aveva
addirittura calcolato i metri quadrati che doveva occupare il
percorso espositivo. Così, la prima cosa che abbiamo immaginato è
stato
dividere la grande navata con una soletta, in modo da
raddoppiare la superficie disponibile" spiega durante la visita che abbiamo fatto insieme al Museo "In
questo modo il piano inferiore è rimasto
senza luce naturale, mentre
quello superiore è
inondato dalla luce proveniente dalle grandi
finestre dell'edificio, che abbiamo mantenuto intatte. Questo mi ha
dato un'idea di
progressione della luce, dall'area di accoglienza
fino al piano superiore, che è stato
uno degli elementi guida del
progetto. E questo ha anche fatto sì che il piano inferiore sia
illuminato da
luci led nascoste, che simulano la luce naturale. E'
una mia idea dell'architettura, far sì che
i corpi luminosi siano
invisibili e se ne vedano solo gli effetti: al piano inferiore del
MEF non si vedono gli elementi fissi, si vedono
esclusivamente i
corpi luminosi che proiettano la luce sulle opere e che sono
sistemati su binari attaccati al soffitto, in modo da essere
utilizzati in modo diverso in ogni mostra".
L'area
dell'ingresso è
il nodo che distribuisce i percorsi interni: di qui
si arriva alla biglietteria e al bookshop e si ha l'accesso al
bistrot, gestito dal Museo e dotato anche di un ingresso indipendente,
direttamente su via Cigna; di qui, infine, si sale agli uffici e,
dalla stessa scala, si scende, alla fine del percorso espositivo, per
uscire, fermarsi nel bookshop o entrare nel bistrot. E' uno spazio
dal
soffitto ribassato e rifinito con
beton brut, il cemento armato a
vista, così da ricordare il passato industriale dell'edificio e gli
anni 50, in cui lo stesso edificio fu realizzato per la SICME e in
cui questa tecnica costruttiva furoreggiava; il soffitto ribassato
accentua
la sensazione di 'oscurità', da cui parte il percorso verso
la luce.
Al primo piano rimane ben
poco dell'identità
industriale dell'edificio: "Le pareti sono bianche e lisce, così
come ha voluto la Fondazione; sono in cartongesso e,
nell'intercapedine che si è creata con le pareti esterne
dell'edificio, passano tutti gli impianti. Tutta
la struttura interna
che abbiamo progettato per il Museo è
indipendente dall'edificio già
esistente: c'è uno spazio di 6 centimetri che rende le due
costruzioni indipendenti, così come richiedono le
norme
antisismiche, affinché, in caso di oscillazioni, le due strutture
non si 'scontrino' e crollino" spiega Cepernich. L'ingresso al
percorso espositivo è segnato da
due grandi portali neri, che danno
accesso al cortile e ai magazzini che ospitano le opere, prima e dopo
la loro esposizione. "Con questo colore, in contrasto con quello
del Museo, abbiamo voluto segnalare la
diversità della destinazione
degli spazi. Tutto quello che è bianco è percorso espositivo,
quello che lascia il cemento armato a vista o usa le porte nere è
spazio destinato ai servizi".
Le due grandi sale del piano
terra, che si affacciano sul magnifico corridoio centrale sono
quasi
gemelle nella loro concezione di spazio bianco, lineare e rigoroso,
caratterizzato dai binari che, dal soffitto, distribuiscono i punti
luce. "Sono estremamente duttili nel loro uso" commenta
Cepernich. Poi si arriva al fondo del corridoio centrale e si è
accolti da
uno spazio a tutt'altezza, da cui piove la luce delle
grandi finestre industriali. Qui sì, si inizia ad avere
la
sensazione del passato dell'edificio, mentre Alex Cepernich fa notare
come la scala, che lungo il perimetro sale al piano superiore, sia
quasi
'nascosta' da un accorgimento tecnico, il taglio diagonale
verso l'interno della muratura di protezione. Su questo spazio a
tutt'altezza si affaccia la terza sala del piano inferiore, ampia,
luminosa e anche lei
poliedrica nel suo uso: può ospitare concerti,
incontri, mostre. "In realtà è stata progettata come spazio
per la didattica, ma come tutte le sale del MEF, può essere adattata
alle esigenze del momento".
Poi si arriva al piano superiore
ed è magia. Il ritmo antico dei pilastri, le travi a traliccio a
vista, le grandi finestre lunghe e orizzontali, tutto ricorda che
siamo in un edificio industriale, mentre i quadri e le opere esposte
parlano di arte in tutte le sue manifestazioni. Davvero
uno spazio
unico a Torino. "E' una galleria che
cambia continuamente
immagine. Mi piace tornare al MEF tutte le volte e venire qui per
vedere come hanno definito di nuovo gli spazi. Penso che la grande
capacità di adattamento di questa sala sia una delle cose che mi
piacciono di più di questo progetto. Trovo sia anche bello
il
rapporto con l'esterno: il progetto è come una progressione della
luce, dall'ingresso, più oscuro, fino a questa galleria, che ha come
protagonista la luce naturale e che è conclusa da
una grande vetrata
trasparente, da cui si vedono i nuovi edifici di Spina 4. E' un
rapporto interno-esterno, luce-trasparenza, che mi sembra importante
e affascinante" conclude l'architetto Cepernich.
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