Al Museo MAN Museo d'Arte della
Provincia di Nuoro, è in corso una mostra che dovremmo vedere anche
qui in Piemonte,
Il Regno segreto: Sardegna-Piemonte, una visione
post-coloniale, che
racconta rapporti, scambi e culture tra le due regioni, dal 1720, anno della loro unione, fino a buona parte del
Novecento. Rivela relazioni sorprendenti e influenze degli uni sugli
altri che non ci si aspetterebbe: sia qui in Piemonte che in Sardegna
meriteremmo di approfondire la lunga storia in comune.
La mostra
ha riportato in auge i falsi idoli fenici venduti in Sardegna a re
Carlo Alberto e oggi proprietà del Museo d'Antichità di Torino. La
loro storia testimonia il grande interesse per l'archeologia
dell'Ottocento: è, in fondo, il secolo che scopre l'Egitto e Troia, suscitando
emozione e passioni in tutta Europa. In Italia, già nel Settecento,
erano iniziati gli scavi archeologici a Roma, a Pompei e nel
Meridione, e si erano scoperte le prime meraviglie d'arte delle
civiltà antiche. La Sardegna non voleva essere esclusa da questi
movimenti e da questo interesse internazionale. Sul suo territorio, i
nuraghi parlavano dell'antichità della sua storia e rivelavano di
tanto in tanto oggetti di bronzo più o meno raffinati; Tharros
testimoniava la presenza dei fenici, le leggende ipotizzavano come
fossero sardi i popoli del mare che misero in pericolo i faraoni tra
il 1300 e il 1100 avanti Cristo. Insomma, al centro del Mediterraneo,
crocevia di popoli e culture, la Sardegna poteva trovare
nell'archeologia un'occasione di riscatto e vantaggio. Se a questo si
aggiunge l'interesse del Piemonte per la sua isola, nato dopo
l'esilio a Cagliari di re Vittorio Emanuele I, con i primi studi
sulla sua storia (si pensi al Voyage en Sardaigne di Alberto La
Marmora) e la passione di Carlo Alberto per l'archeologia, il gioco è
fatto.
La frequentazione di re Carlo Alberto con l'isola iniziò
nel 1829, quando partecipò agli scavi al nuraghe Santu Antine di
Torralba e a Turris Libisonis; fu quindi presente agli scavi a Nora e
a Tharros nel 1841 e quindi a Olbia, nel 1843. In questi ultimi, c'era anche il direttore del Museo di Cagliari Gaetano Cara, figura
centrale della truffa perpetrata ai danni del Re di Sardegna. Gestore
senza rivali del Museo cagliaritano, ambizioso e senza troppi
scrupoli, Cara aveva prestigiose relazioni con il potere piemontese,
era un buon amico di Alberto La Marmora, e intratteneva stretti
rapporti con gli archeologi sardi, tra cui Giovanni Spano ed Efisio
Luigi Tocco. Con questi ultimi due lavorò in diversi siti archeologici e fu probabilmente durante questi scavi che ebbe l'idea di
falsificare i reperti, così da ottenere quella visibilità per la
Sardegna che gli avrebbe garantito onori e carriera. Per dire della
sua mancanza di scrupoli: non ebbe problemi al vendere, invece di
tenere per il proprio Museo, i reperti trovati a Tharros, dividendoli
tra il Louvre e il British Museum. Ma il suo "capolavoro"
furono i 330 idoli fenici, alcuni dei quali fece trovare allo stesso
re Carlo Alberto, negli scavi di Nora. Il loro ritrovamento ebbe
un'enorme eco in tutta Europa, anche grazie all'autenticità
riconosciuta dagli archeologi e studiosi più importanti dell'epoca.
Ne parlò anche Alberto La Marmora nel suo Voyage en Sardaigne, nell'edizione del 1840.
Finì che re Carlo Alberto ne comprò una
settantina spendendo l'equivalente di 85mila euro attuali, una cifra
notevole oggi e ancora di più allora. Per Cara un affare
economico incredibile, ma anche l'inizio della sua fine. Se in un
primo tempo i suoi amici archeologi non dissero niente e gli
permisero queste azioni illegali, non appena i loro interessi
mutarono, il silenzio si ruppe e si iniziò a diffondere l'idea che
gli idoli fenici della Sardegna fossero in realtà dei falsi. Nel
1883, il nuovo direttore del Museo di Cagliari Ettore Pais, denunciò
pubblicamente la loro falsità e li tolse dalle vetrine del suo
Museo, definendoli idoli "falsi e bugiardi".
E cosa
successe alla collezione comprata da re Carlo Alberto? È a Torino,
al Museo di Antichità, che l'ha esposta un paio di anni fa, nella bella mostra dedicata a Carlo Alberto archeologo in Sardegna. "Gli idoli
sardo-fenici compaiono in Sardegna nei primi decenni del 1800"
descriveva il pannello informativo "sono oggetti falsi, molto
diversi dalle vere statuette di bronzo di tradizione nuragica e
rappresentano personaggi maschili e femminili, talvolta ermafroditi,
di aspetto demoniaco e grottesco: figure mostruose, tra il surreale e
il fantastico, irte di punte e di corna, armate di lance, spade e
forconi, spesso affiancate da teste isolate o da animali, soprattutto
serpenti". Secondo l'archeologo Giovanni Liliu, uno dei massimi
studiosi della civiltà nuragica, molto dovevano all'immaginario
medievale del diavolo.
La truffa dei falsi idoli fenici sardi è
una delle più famose della storia dell'archeologia, anche se re
Carlo Alberto morì senza sapere di esserne stato vittima. Avendoli
visti nella mostra al Museo d'Antichità, mi sono sempre chiesta
perché non riservare loro uno spazio, che sia anche solo una
vetrina, che racconti la loro storia. Passioni, emozioni e ambizioni
che si sono incontrate attraverso di loro e che uniscono, ancora una
volta, Torino e la Sardegna.
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