Quando,
con il Trattato di Utrecht (1713), Torino divenne capitale del Regno
di Sicilia prima e, con lo scambio delle due isole maggiori, di
Sardegna poi, ai Savoia si pose un problema: la capitale doveva essere trasformata, per essere all'altezza del loro nuovo
status. Così il
programma degli ampliamenti, vagheggiati dal duca Emanuele Filiberto
e portati avanti dai suoi successori, si arricchì di un nuovo
capitolo. Una delle prime decisioni di Vittorio Amedeo II e
del suo architetto, Filippo Juvarra, fu il
dirizzamento delle strade
della città romana. Perché, curiosamente, Torino è famosa per
conservare le vie ortogonali delle antiche colonie romane, ma, in
realtà, durante il Medioevo quello scacchiere si trasformò in vie
strette, con margini disordinati, per rientranze e sporgenze, spesso
maleodoranti, addirittura con animali tra cortili e strada. Insomma,
un mezzo disastro d'immagine che non si poteva tollerare.
Via Milano all'altezza della chiesa di San Domenico (sin)
e poco prima dello slargo della Basilica Mauriziana (des). Da Street View di Google
Tra i
dirizzamenti più importanti a cui Juvarra mise mano, quello di via
Garibaldi, allora Contrada di Dora Grossa,
l'antico decumano romano,
e quella dell'attuale via Milano, che fu probabilmente molto più
interessante. La città aveva bisogno di un ingresso monumentale per
la via che proveniva dal Nord e che terminava nella piazza Palazzo di
Città, simbolo del potere cittadino, a pochi passi dal Palazzo
Reale, residenza del nuovo sovrano. Era il biglietto da visita di
Torino ai visitatori provenienti da Milano e dal Nord, non poteva non
essere all'altezza delle aspirazioni dei Savoia.
La Contrada di Porta Palazzo, il nome che aveva all'epoca via Milano, presentava il solito
andamento disordinato delle vie della città vecchia, con impianto
medievale, edifici antichi, quando non vecchi, chiese anche loro
collocate in ordine sparso lungo la via. Re Vittorio Amedeo era un
uomo dai modi decisi, il suo architetto lo seguiva senza difficoltà,
così, avendo entrambi in mente l'idea grandiosa di quello che doveva
essere una capitale, non si fecero troppi scrupoli (del resto non
vivevano in un'epoca che chiedeva loro di conservare le testimonianze del
passato). Buttarono giù gran parte degli edifici della Contrada di
Porta Palazzo, per costruire la nuova via, anch'essa, come prevedeva il
programma architettonico e politico del sovrano, dotata di facciate
uniformi, con vani per le botteghe al piano terreno e tre piani
di appartamenti destinati in larga parte alla locazione.
La
trasformazione della Contrada di Porta Palazzo è una delle cose che mi
sono rimaste di più nella memoria dei miei studi ad Architettura.
Merito della mia professoressa di Storia dell'Urbanistica, la mai
troppo compianta Vera Comoli Mandracci, che non solo aveva dedicato
la sua vita allo studio della trasformazione di Torino in capitale
dei Savoia, ma sapeva trasmettere i suoi studi e il suo entusiasmo
con molta passione. Lungo il suo cammino per "raddrizzare"
la via, Filippo Juvarra si trovò tre "ostacoli" e risolse
in modo geniale solo uno (sempre valutando le cose con i nostri
occhi); i tre ostacoli hanno nomi di chiese: San Domenico, San
Maurizio, San Michele. La chiesa di San Domenico, edificio gotico a
tre navate, sporgeva di circa quattro metri sull'asse della nuova
strada, così il grande siciliano decise di abbatterne un'intera navata (se ci fate caso, la facciata
quattrocentesca in laterizi, su via San Domenico, ha poco in comune
con la facciata della navata destra, su via Milano). Andò meglio
alla Basilica di San Maurizio e Lazzaro, con la sua monumentale
facciata barocca, piuttosto inclinata rispetto al nuovo andamento
della Contrada di Porta Palazzo; l'edificio era stato appena
ricostruito, l'Ordine Mauriziano, a cui la chiesa faceva riferimento,
era il più importante di Casa Savoia, dunque era necessaria una
soluzione che evitasse l'abbattimento. Così l'Architetto di Corte si
inventò una piazzetta quadrangolare, di cui la chiesa sarebbe stata
la facciata più monumentale, prima di tornare alla retta Contrada di
San Michele, ormai in prossimità della Porta da Milano. Lo slargo
davanti alla Basilica Mauriziana caratterizza ancora oggi via Milano
ed è assunto dai torinesi disinvoltamente, perché niente fa pensare
che sia una soluzione appositamente studiata per salvare una chiesa,
tanto appare naturale il suo inserimento nella via rettilinea.
L'ingresso a Torino da Nord, progettato da Filippo Juvarra
con le bancarelle del mercato di Porta Palazzo (da Street View di Google)
Appena oltre l'ingresso monumentale a Torino, sull'angolo
sud-occidentale della piazzetta juvarriana, che si apre poi su piazza
della Repubblica e sul mercato di Porta Palazzo, c'era la chiesa di
San Michele: era una chiesa medievale, di impianto ottagonale; aveva
un doppio ingresso e probabilmente era a una quota già più bassa
rispetto alla città (nelle tavole di Juvarra che la riportano, prima
del dirizzamento, risultano delle scale che scendono all'ingresso).
Collocata giusto in quell'angolo d'ingresso alla città, a impedire
la vista dei nuovi edifici di architettura omogenea,
con i portici, le lesene, le finestre con le decorazioni triangolari
e rettilinee, non aveva molte possibilità di essere salvata. E
infatti non fu salvata. Un peccato, sarebbe stata una delle poche
testimonianze della città prima dei Savoia, ma chissà, forse fu
anche questa la ragione che le impedì di rientrare nella
trasformazione di Torino capitale del Regno di Sardegna.
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