FLOReal d'autunno alla Palazzina di Stupinigi

 Nel weekend torna alla Palazzina di Caccia di Stupinigi FLOReal, che tanto successo aveva avuto nella prima edizione, nella stessa location. Nella tre giorni, dal 7 al 9 ottobre 2022, la mostra florovivaistica, con vivaisti provenienti da ogni parte d'Italia, sarà accompagnata da un ricco palinsesto culturale. Presentazioni di libri e conferenze, proiezioni di cortometraggi e documentari, performance teatrali, mostre, laboratori e un ampio spazio dedicato alla gastronomia, con un filo comune: la natura e la sostenibilità. La mostra propone colori e profumi dell'autunno, "dal fiore più amato, la rosa, agli agrumi siciliani, le orchidee dalla Lombardia, e ancora piante succulente e carnivore, orchidee, tillandsie, piante acquatiche e rampicanti, aromatiche e tropicali, oltre a diverse tipologie di bonsai. Piante da appartamento, da secco e da sole intenso, da ombra, fioriture annuali, bulbose e graminacee. Non mancheranno varietà più stagionali come le viole, i ciclam

Quando c'era il Moschino: pescatori, barcaioli, lavandai lungo il Po

Abbattuto nel 1872 per fare posto ai Murazzi, il piccolo borgo del Moschino è entrato nella storia torinese come un quartiere malfamato e insalubre, infestato, come dice anche il suo nome, da mosche e zanzare. Alla sua fama collaboravano anche le ricorrenti piene del Po, che lasciavano strade e abitazioni umide e, dunque, potenzialmente pericolose per la salute. Ma è una fama che non rende giustizia al piccolo borgo, povero, sì, ma per molti secoli dignitoso.

Costruito lungo il Po, tra l'attuale corso San Maurizio e piazza Vittorio Veneto, quasi a ridosso dell'unico ponte che per secoli ha unito Torino alla collina, faceva parte del Borgo di Po, che si estendeva su entrambe le rive del fiume, raggiungendo, sul lato sinistro, la zona del Pilone. Nel Moschino abitavano circa 6mila persone, dedicate in larga parte ai mestieri legati al fiume: pescatori, barcaioli e mugnai erano i mestieri più diffusi, ma c'erano anche i lavandai, i tintori della seta, i sabbiatori. Un microsolco umano, che testimonia oggi quanto un fiume potesse essere fonte di vita per gli abitanti delle sue rive.

Il Po era un fiume piuttosto pescoso: c'erano anguille, tinche, trote e persino storioni; un'usanza antica di secoli era quella di offrire, ogni anno, il primo storione pescato nel Po al vescovo di Torino. E le cronache raccontano che alla fine del XIX secolo fu pescato uno storione di 200 kg. Ci crediamo? Vero o non vero l'episodio, testimonia comunque che il fiume era pescoso. Nel libro Il Moschino, Gian Enrico Ferraris riporta che la pesca era regolata da appositi Statuti: "Si pescava con reti a tremagli, oggi proibite, con nasse e bertavelli ed esistevano nell'alveo del Po delle aree delimitate da palificazioni piscarie per la conservazione del pesce vivo".

I barcaioli avevano molto lavoro. Il fiume era una vera e propria via di trasporto di merci e di persone, tra Torino, paesini e Stati rivieraschi. Nel passato non c'erano molte strade e spesso era più conveniente usare il Po per arrivare da Torino fino a Casale Monferrato o fino agli Stati della pianura padana (Emanuele Filiberto utilizzò il Po per recarsi a Venezia, a prendere il nipote Henri, neo re di Francia; Margherita di Savoia, sposa del futuro duca Francesco IV scese lungo il Po per raggiungere Mantova); il Po era, insomma, una sorta di autostrada naturale, da Torino fino all'Adriatico. Nel territorio di Torino i traghettatori trasportavano merci e persone da una riva all'altra del fiume: per passare sull'unico ponte bisognava pagare un pedaggio, che rendeva spesso più conveniente il traghetto.

Un altro mestiere legato al fiume era quello dei mugnai. Lungo il Po, appoggiati su apposite barche, c'erano dei mulini natanti: sulla riva sinistra si trovavano tra il Moschino e il Valentino, sull'altro lato erano nelle zone di Cavoretto e del Pilone. I mulini natanti iniziarono ad apparire nel XV secolo e si affermarono nel XVII secolo; si differenziavano dai mulini lungo la Dora perché questi ultimi erano fissi, costruiti cioè sulla terra ferma e mossi dalle acque del fiume appositamente deviati in canali. Questa caratteristica permise di costruire lungo la Dora mulini più grandi e più potenti e di regolare il suo territorio con numerosi canali, che favorirono poi la sua vocazione industriale. Lungo il Po, invece, i mulini erano natanti, appoggiati cioè su due pontoni, che avevano l'aspetto di due barconi: "Erano dotati di una poppa, detta culata e di una prua, detta frontespicio, ch'era rivolta alla corrente. Erano costruiti completamente in legname di rovere e rinforzai all'interno da un secondo tavolato più leggero. I due pontoni erano collegati l'uno all'altro da alcune travi di legno assicurate mediante staffe di ferro e caviglie. Su ogni pontone principale era costruito un casotto, in cui erano collocate le macine ed altri artificij" scrive ancora Ferraris nel suo libro. Essendo natanti i mulini potevano essere spostati a seconda delle correnti, in modo da sfruttare la forza delle acque. I mulini del Po erano utilizzati per macinare il grano, quelli della Dora, invece, arrivarono a essere utilizzati anche per sfruttare l'energia idraulica. Anche in questo diverso uso dei mulini, si indovina il diverso destino dei due fiumi nella storia di Torino.

I lavandai ebbero nel Moschino uno dei loro quartieri di residenza principali. Lavavano i panni nel fiume e poi li stendevano sulle rive del Po, pagando per questo l'affitto dei terreni al Comune.

Come si può vedere, il Moschino era un piccolo universo di gente dedita a lavori umili, ma laboriosa e dignitosa. Il quartiere era cresciuto lungo il fiume senza seguire alcuna regola urbanistica né igienica, assecondando le necessità degli abitanti. I cambiamenti della società torinese portarono piano piano alla scomparsa dei mestieri lungo il fiume: il mondo di barcaioli, mugnai e pescatori fu sostituito da una microdelinquenza sempre più pericolosa e da un quartiere non più umile, ma anche insalubre, focolaio di gravi epidemie di colera. Alla fine del XIX secolo il Moschino fu abbattuto e solo pochi documenti ci tramandano la sua storia.

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