Abbattuto nel 1872 per fare posto ai
Murazzi, il piccolo borgo del Moschino è entrato nella storia
torinese come
un quartiere malfamato e insalubre, infestato, come
dice anche il suo nome, da mosche e zanzare. Alla sua fama collaboravano anche le ricorrenti piene del Po, che
lasciavano strade e abitazioni umide e, dunque, potenzialmente pericolose per la salute. Ma è una
fama che non rende giustizia al piccolo
borgo, povero, sì, ma per molti secoli dignitoso.
Costruito
lungo il Po, tra l'attuale corso San Maurizio e piazza Vittorio
Veneto, quasi a ridosso dell'unico ponte che per secoli ha unito
Torino alla collina, faceva parte del Borgo di Po, che si estendeva
su entrambe le rive del fiume, raggiungendo, sul lato sinistro, la
zona del Pilone. Nel Moschino abitavano circa 6mila persone, dedicate
in larga parte ai mestieri legati al fiume: pescatori, barcaioli e
mugnai erano i mestieri più diffusi, ma c'erano anche i lavandai, i
tintori della seta, i sabbiatori. Un microsolco umano, che testimonia
oggi quanto un fiume potesse essere fonte di vita per gli abitanti
delle sue rive.
Il Po era un fiume piuttosto pescoso: c'erano
anguille, tinche, trote e persino storioni; un'usanza antica di
secoli era quella di offrire, ogni anno, il primo storione pescato
nel Po al vescovo di Torino. E le cronache raccontano che alla fine
del XIX secolo fu pescato uno storione di 200 kg. Ci crediamo? Vero o
non vero l'episodio, testimonia comunque che il fiume era pescoso.
Nel libro
Il Moschino, Gian Enrico Ferraris riporta che la pesca era
regolata da appositi Statuti: "Si pescava con reti a tremagli, oggi
proibite, con nasse e bertavelli ed esistevano nell'alveo del Po
delle aree delimitate da palificazioni
piscarie per la conservazione
del pesce vivo".
I barcaioli avevano molto lavoro. Il fiume era
una vera e propria via di trasporto di merci e di persone, tra Torino, paesini e Stati
rivieraschi. Nel passato non c'erano molte strade e spesso era più
conveniente usare il Po per arrivare da Torino fino a Casale
Monferrato o fino agli Stati della pianura padana (Emanuele Filiberto
utilizzò il Po per recarsi a Venezia, a prendere il nipote Henri, neo
re di Francia; Margherita di Savoia, sposa del futuro duca Francesco IV scese lungo il Po per raggiungere
Mantova); il Po era, insomma, una sorta di autostrada naturale, da
Torino fino all'Adriatico. Nel territorio di Torino i traghettatori
trasportavano merci e persone da una riva all'altra del fiume: per
passare sull'unico ponte bisognava pagare un pedaggio, che rendeva
spesso più conveniente il traghetto.
Un altro mestiere legato al
fiume era quello dei mugnai. Lungo il Po, appoggiati su apposite
barche, c'erano dei mulini natanti: sulla riva sinistra si trovavano
tra il Moschino e il Valentino, sull'altro lato erano nelle zone di
Cavoretto e del Pilone. I mulini natanti iniziarono ad apparire nel
XV secolo e si affermarono nel XVII secolo; si differenziavano dai
mulini lungo la Dora perché questi ultimi erano fissi, costruiti
cioè sulla terra ferma e mossi dalle acque del fiume appositamente
deviati in canali. Questa caratteristica permise di costruire lungo
la Dora mulini più grandi e più potenti e di regolare il suo
territorio con numerosi canali, che favorirono poi la sua vocazione
industriale. Lungo il Po, invece, i mulini erano natanti, appoggiati
cioè su due pontoni, che avevano l'aspetto di due barconi: "Erano
dotati di una poppa, detta
culata e di una prua, detta
frontespicio,
ch'era rivolta alla corrente. Erano costruiti completamente in
legname di rovere e rinforzai all'interno da un secondo tavolato più
leggero. I due pontoni erano collegati l'uno all'altro da alcune
travi di legno assicurate mediante staffe di ferro e caviglie. Su
ogni pontone principale era costruito un casotto, in cui erano
collocate le macine ed altri
artificij" scrive ancora Ferraris nel
suo libro. Essendo natanti i mulini potevano essere spostati a seconda
delle correnti, in modo da sfruttare la forza delle acque. I mulini
del Po erano utilizzati per macinare il grano, quelli della Dora,
invece, arrivarono a essere utilizzati anche per sfruttare l'energia
idraulica. Anche in questo diverso uso dei mulini, si indovina
il diverso destino dei due fiumi nella storia di Torino.
I lavandai
ebbero nel Moschino uno dei loro quartieri di residenza principali.
Lavavano i panni nel fiume e poi li stendevano sulle rive del Po,
pagando per questo l'affitto dei terreni al Comune.
Come si può
vedere, il Moschino era un piccolo universo di gente dedita a lavori
umili, ma laboriosa e dignitosa. Il quartiere era cresciuto lungo il
fiume senza seguire alcuna regola urbanistica né igienica,
assecondando le necessità degli abitanti. I cambiamenti della
società torinese portarono piano piano alla scomparsa dei mestieri
lungo il fiume: il mondo di barcaioli, mugnai e pescatori fu
sostituito da una microdelinquenza sempre più pericolosa e da un
quartiere non più umile, ma anche insalubre, focolaio di gravi
epidemie di colera. Alla fine del XIX secolo il Moschino fu abbattuto
e solo pochi documenti ci tramandano la sua storia.
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