Un sabato mattina a Porta Palazzo, il mercato all'aperto più grande d'Italia,
uno dei più grandi d'Europa. C'è il brusio della folla, ci sono le grida dei
commercianti, spesso in un italiano più volenteroso che autoctono.
E viene da pensare che è vero, ha ragione chi considera Porta Palazzo il grande
porto di Torino.
Qui approdano gli emigrati di tutte le epoche e di tutti i continenti, come se
fosse una Ellis Island torinese. I primi sono stati i meridionali del boom
economico, che arrivavano a Torino in cerca di occupazione nelle grandi
fabbriche del Nord. Poi ci sono stati i primi stranieri, i marocchini, come i
torinesi chiamano tutti gli emigrati stranieri di ascendenza nordafricana, quasi
a riconoscere il primato dei figli del Marocco nelle emigrazioni
extracomunitarie, anche se dopo di loro sono arrivati egiziani, senegalesi e curdi. E, con la caduta del Muro di Berlino, sono arrivati gli slavi
e i romeni. Tutti passati per Porta Palazzo, a ciondolare nella grande piazza
quando il mercato chiude i battenti, tra i resti di frutta e verdura e le carte
svolazzanti; a osservare la folla di passaggio dalle fermate degli autobus e
dagli ingressi dei negozi, sempre più extracomunitari e sempre meno italiani.
E adesso Porta Palazzo, con le sue bancarelle ricche di colori e di frutti, con
le sue merci che non sono più così introvabili altrove e non sono neanche più
così a buon prezzo rispetto agli altri mercati torinesi, è uno specchio della
città. Un rito per i torinesi, soprattutto di una certa età, che non rinunciano a fare la spesa in questo mercato, anche a costo di passarsi tutta la mattinata tra autobus e bancarelle, anche se i prezzi non sembrano più valere il gioco. Un punto di incontro per le comunità straniere, che qui ritrovano i connazionali, magri dietro un banco del mercato e si fidano di più. Ai banchi ci sono tutti gli accenti dell'emigrazione che offrono
prodotti italiani e a chilometro zero, come amano ricordare alle massaie e ai
pensionati di passaggio; si ascolta l'italiano parlato dagli albanesi, dai
maghrebini, dai romeni, tutti con il loro banco, tutti con la loro nuova vita
italiana. E viene da sorridere al sentirli pubblicizzare con il loro accento
straniero l'assoluta italianità dei loro prodotti.
Frutta e verdura, miele siciliano e mele piemontesi, ma anche scarpe e borse,
accessori femminili per tutti i gusti. Tutti mostrati, tutti pubblicizzati in
un'orgia di colori e di voci che però non confonde mai.
Nel mercato coperto si
è assaliti dal profumo del pane, dei formaggi, dei salumi: un omaggio a tutte
le immigrazioni torinesi d'Italia, perché si trovano davvero i prodotti di tutte le
regioni; i formaggi pugliesi, i salumi calabresi, la carne
rigorosamente piemontese, il pane di tutte le regioni. E' la grande festa della
varietà gastronomica del nostro Paese.
Il mercato di Porta Palazzo si trova in una delle piazze più grandiose di
Torino. Era stata progettata da Filippo Juvarra per dare un ingresso monumentale
ai viaggiatori che arrivavano da Milano (ancora oggi si chiama via Milano la
strada che dall'antica Porta torinese guida verso il centro cittadino). I
palazzi signorili che facevano da ala alla porta sorgono in posizione
leggermente più alta rispetto alla piazza, a causa del dislivello del suolo, ma
questo dona loro un'ulteriore monumentalità. Potete apprezzarla, con la
decadenza implicita, quando il mercato chiude i battenti, la grande piazza si
svuota e rimangono solo i resti della frutta e della verdura, le cassette di
legno vuote, le carte che svolazzano, qualche immigrato senza ufficio e, sullo
sfondo, i palazzi juvarriani che indicano l'ingresso a Torino. C'è un che di
malinconico e persino di intimo, pensando al vociare e alla folla di poche ore
prima.
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