Il 27 gennaio Torino, come molte altre città,
celebra la Giornata della Memoria, affinché l'Olocausto nazista non sia ai
dimenticato. In città sono già in corso da alcuni giorni numerose iniziative,
che hanno come sede numerose scuole superiori e, come punto di riferimento principale, il Museo Diffuso della Resistenza, in corso Valdocco 4/A (il programma
completo potete trovarlo nel sito web del Museo,
in .pdf).
E la Giornata della Memoria è anche un'occasione per ricordare il contributo
storico e culturale della Comunità Ebraica a Torino. Le prime notizie storiche
della presenza degli Ebrei sono del XV secolo e sono strettamente legate alle
espulsioni francesi del 1394.
Nel 1430 Amedeo VIII regolò la loro presenza in
città con un codice piuttosto rigido: gli Ebrei dovevano vivere in quartieri separati da
quelli cristiani, dovevano portare un segno distintivo giallo e dovevano avere un
numero di sinagoghe limitato. La comunità crebbe dopo il 1492,
quando, a causa della cacciata dalla Spagna, iniziò la diaspora sefardita; gli
Ebrei spagnoli, come nel resto dell'Europa, arrivarono per dedicarsi soprattutto
al commercio. Ma la persecuzione per loro non era ancora finita: la Controriforma portò a
nuove diffidenze e a nuove limitazioni.
Anche a Torino gli Ebrei vennero rinchiusi in ghetti. Quello torinese è
identificabile negli isolati compresi tra le vie Maria Vittoria, via Bogino,
via Principe Amedeo e via San Francesco da Paola (siamo, insomma, nell'allora secondo
ampliamento di Torino, tra piazza Castello e il Po).
Nell'isolato compreso tra queste vie si possono ancora notare i segni dell'antico
ghetto: gli otto cancelli d'ingresso, i cortili angusti e i ballatoi, che fanno
pensare a quanto dovessero essere ammassati e quanto dovesse essere chiusa la loro vita I cancelli dell'ingresso
venivano chiusi tutti i giorni alle 21 e agli Ebrei era proibito uscire; intorno
a questo isolato c'erano i piccoli negozi e le piccole attività dei commercianti
giudei, che preferivano non allontanarsi troppo dalla loro comunità.
Le discriminazioni che gli Ebrei sopportarono nella loro vita torinese,
terminarono solo nel 1848, quando lo Statuto Albertino concesse la
libertà religiosa ai sudditi dello Stato sabaudo. Fu il 17 febbraio 1848, una data che le valli valdesi
celebrano ancora con grandi falò, per ricordare i diritti finalmente
riconosciuti.
Ottenuti i loro diritti di cittadini, gli Ebrei decisero di
regalarsi una grande sinagoga, che celebrasse la loro presenza in città.
Affidarono il progetto ad Alessandro Antonelli, che disegnò un'originale
costruzione destinata a segnare e a caratterizzare per sempre lo skyline
torinese. La comunità ebraica, però, abbandonò il progetto per mancanza di
risorse economiche e fu il Comune di Torino, acquistandola, a far entrare la
Mole Antonelliana nell'immaginario collettivo, come simbolo più identificabile
di Torino, non per niente, la città della Mole. Agli Ebrei, dunque, Torino deve
il suo simbolo più famoso, quello in cui si riconoscono tutti i torinesi.
Ma,
ancora senza sinagoga, la comunità cercò un altro terreno e un progetto più
adatto alle proprie risorse economiche: lo trovò nei pressi di corso Vittorio
Emanuele, accanto al Tempio Valdese (non sembra uno scherzo del destino, che le
due comunità religiose più perseguitate nei secoli passati abbiano poi trovato
la possibilità di vivere la propria fede in due isolati adiacenti, a San
Salvario, diventato a sua volta quartiere torinese simbolo della convivenza possibile?).
L'attuale sinagoga, realizzata da Enrico Petiti, secondo il gusto
eclettico dell'epoca, fu aperta al culto il 16 febbraio 1884; può contenere
fino a 1400 persone e aveva raffinati arredamenti interni distrutti dai
bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Inevitabile il confronto tra
questa sinagoga dalla facciata colorata, grazie ai giochi decorativi del
granito, della pietra bianca e dell'intonaco, e con torri con cupole a bulbo a
sottolineare i suoi angoli, e la Mole Antonelliana. Ma, nonostante la relativa
semplicità dell'elegante costruzione di Petiti e l'eccentricità dell'edificio
dell'Antonelli, non si può dire che il primo ne esca perdente.
Intorno alla sinagoga, in piazzetta Primo Levi, ancora oggi sorgono negozi, librerie, attività legate
alla cultura ebraica; sono anche loro un simbolo di San Salvario, quartiere
multietnico e sorprendente.
Nelle foto, la Mole Antonelliana, la sinagoga che non fu, e l'attuale sinagoga.
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