Il 22 marzo 1897, 117 anni fa, nasceva
a Torino Ferruccio Novo, passato alla storia del calcio come il
presidente che, tra la fine degli anni '30 e la metà degli anni '40,
fondò il Grande Torino.
Appartenente a una famiglia della buona
borghesia torinese, che possedeva una piccola fabbrica di accessori
in cuoio, si appassionò al calcio sin da giovanissimo e divenne
tifoso del Torino negli anni di studio al Collegio San Giuseppe.
Terminati gli studi, il pallino per il Toro non gli era passato,
tanto da entrare, passo a passo, nel gruppo dirigente granata. Nel
1939, divenne presidente della squadra e se ne occupò a tempo pieno,
deciso a rilanciarla e a portarla ai vertici del calcio italiano. Per
questo costruì una squadra dirigenziale formidabile.
"Il
Torino aveva scremato il
vivaio calcistico italiano con mezzi di persuasione davvero
irresistibili" scriveva Gianni Brera su la Repubblica, per
celebrare il 40ennale dalla tragedia di Superga “Il C.T. della
nazionale Vittorio
Pozzo,
vecchio militante della squadra granata, sollecitava i migliori della
nazionale giovanile ad accettare
le offerte del Torino, quali che fossero, perché giocando sotto la
Mole sarebbero sempre stati alla sua portata: li avrebbe seguiti e
consigliati per il meglio, così da maturare al più presto per la
maglia
dei moschettieri azzurri. Dal canto suo il presidente Ferruccio
Novo,
industriale medio torinese, esercitava
il proprio compito assicurando ai firmatari del cartellino granata
(disemm inscì) i vantaggi indubitabili dell'esenzione dal servizio
militare bellico: magari sarebbero stati chiamati alle armi, però
destinati a Corpi non direttamente impegnati sui fronti di
operazione: ed ecco perché il campionato del '44 toccò ai
misteriosi pompieri del nucleo spezzino".
A guidare la squadra,
Novo chiamò Ernest Egri Erbstein, mentre numerosi ex giocatori del
Toro, rimasti legati ai colori della squadra, segnalavano i
giovanissimi intravisti negli stadi d'Italia. Per esempio, fu Antonio
Janni, alla guida tecnica del Varese, a segnalare a Novo il
giovanissimo Franco Ossola. Grazie a consigli e intuizioni,
arrivarono a Torino numerosi grandi giocatori: la prima vittoria in
campionato arrivò nel 1943. E alla fine della Guerra Mondiale, Egri
fu in grado di creare una delle squadre più brillanti della storia
del calcio italiano (e non solo). Nel 1946, arrivarono gli ultimi
giocatori che formarono il Grande Torino e da allora in poi, non ci
fu storia. Divennero leggendarie le vittorie della squadra, le
maniche tirate su da capitan Valentino Mazzola per dare inizio alla riscossa, i risultati straordinari, i quattro scudetti consecutivi.
"Il
Torino aveva tutto il meglio o
quasi del prosperoso (allora) vivaio italiano e poteva consentirsi
tutte le licenze tattiche di questo mondo. Io però lo vidi beccare
6-2 dall'Inter di Carcano,
il vecchio marpione che aveva guidato anche la Juventus del
quinquennio 1931-35. Carcano aveva
evoluto il metodo a W chiamandolo, come tutti, mezzo sistema.
Applicando quel modulo, improntato al difensivismo
uruguagio-argentino, la Triestina e il Modena avevano conquistato il
secondo posto in campionato dietro al Torino, troppo potente perché
i poveri cirenei della critica italiana si potessero accorgere di
nulla. Il WM era di moda e perfino Pozzo,
che lo aveva osteggiato, ebbe a dirmi dopo un clamoroso Doria-Torino,
finito 0-5, che secondo lui i granata di Erbstein avrebbero
tranquillamente battuto anche la famosa Juventus del quinquennio,
proprio quella che aveva innervato la nostra prima nazionale campione
del mondo" scriveva ancora Gianni Brera.
Poi, tutte le storie straordinarie sono
destinate a finire. Il Torino fu invitato a giocare a Lisbona una
partita contro il Benfica e cosa sia successo sulla strada del
ritorno, il 4 maggio 1949, lo sappiamo tutti. Come molti torinesi, ho
un nonno che, senza particolare interesse per il calcio, andò in piazza
Castello, per salutare i giocatori morti in una delle più grandi
manifestazioni di dolore popolare che si siano viste a Torino. Lo fece
perché, mi diceva sempre, "quando vedevi capitan Mazzola tirarsi
su le maniche... era un altro calcio".
La tragedia di Superga
segnò anche la vita di Ferruccio Novo, che perse non solo la sua
squadra straordinaria, ma anche uomini con cui aveva costruito legami
d'affetto quasi filiale (Valentino Mazzola aveva chiamato il suo secondogenito Ferruccio in suo onore). Nel 1953, lasciò
la presidenza del Torino. Per qualche tempo fu anche allenatore della
Nazionale, prima di ritirarsi definitivamente dall'esperienza
sportiva. E' morto ad Andora, nel 1974.
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