Fino all'inizio del XXI secolo dicevi le torri di via Artom, a Mirafiori Sud, ed
era sinonimo di degrado della periferia, di architettura anonima ed elementare, di piccola criminalità e di gioventù
bruciata. Passavi in via Artom con una certa diffidenza, più per la fama che,
probabilmente, per vero pericolo. Poi.
Il Comune di Torino lanciò lo sguardo verso le periferie per riqualificarle,
perché, spiegava l'allora Assessore all'Edilizia Roberto Tricarico, lo stato di
una città lo si vede non dalla cura del suo centro storico, ma dalla qualità
della vita delle sue periferie. Si stabilì così di ristrutturare alcuni dei
grandi casermoni nati su via Artom e vie adiacenti in piena emergenza abitativa,
tra gli anni 60 e gli anni 70, quando la grande emigrazione meridionale ha
trasformato per sempre l'immagine di Torino e il DNA dei torinesi. Non venne
salvata per la ristrutturazione la torre di via Garrone 73, uno degli edifici
architettonicamente meno riusciti, che fu abbattuta il 28 dicembre 2003, con
un'operazione di grande fascino visivo e di grande emotività per i suoi
abitanti, trasferiti in altri appartamenti dal Comune di Torino. La torre
demolita era stata costruita tra il 14 aprile 1965 e il 14 aprile 1966, era
composta da 80 alloggi, suddivisi in 4 scale, ed era abitata, quasi quarant'anni
dopo, da 179 persone, alcune delle quali avevano vissuto lì sin dalle prime
assegnazioni.
L'abbattimento della torre fu spettacolare, si è detto. Ci fu un'evacuazione
totale in un raggio di 150 metri intorno all'edificio: circa un migliaio di
persone dovettero abbandonare la propria abitazione per sicurezza; poi, nel
secondo anello di sicurezza, compreso tra i 150 e i 300 metri, migliaia di
persone furono blindate nei palazzi, perché fu vietato di fermarsi all'aperto.
L'operazione di abbattimento fu sofisticata: furono necessari 200 kg di
dinamite, sistemati in 5600 microcariche, e 4 secondi. Solo 4 secondi per far
cadere uno degli edifici più simbolici della Torino dell'emergenza abitativa e
della crescita disordinata delle periferie.
L'architetto Costantino Radis, responsabile della
ditta che si occupò dell'esplosione, spiegava nel forum
forum-macchine.it, le difficoltà
dell'operazione: "Questo edificio era particolare perché, avendo una
struttura portante a setti di calcestruzzo incastrati tra di loro non era
possibile farlo implodere ma soltanto ribaltare: diversamente si sarebbe solo
accartocciato un poco riducendo semplicemente la propria altezza di uno o due
piani, ma richiedendo comunque un escavatore con braccio lungo. Proprio per
questo il lavoro di preparazione è stato lungo ed ha necessariamente voluto
parecchie fasi: il calcolo delle cadute e degli indebolimenti, il taglio dei
setti portanti in modo da ridurre al minimo le sezioni portanti ed usare meno
esplosivo possibile, il sezionamento di tutto l'edificio in due parti con il
filo diamantato, l'esecuzione dei fori per le cariche di dinamite, l'esecuzione
di una serie di trincee e mucchi di caduta per attutire l'impatto e le
vibrazioni indotte nella caduta dell'edificio, l'apposizione, attorno alle zone
caricate dall'esplosivo, di reti metalliche utilizzate per le difese dei crinali
montani in modo da non proiettare detriti in lontananza. In un edificio a travi
e pilastri tutto questo lavoro non sarebbe stato necessario in quanto i fori per
le cariche sarebbero stati molti meno e l'edificio sarebbe stato fatto implodere
su se stesso senza la necessità di trincee di caduta". Nel suo post Radis
fornisce una spiegazione tecnica molto dettagliata, che gli interessati possono leggere
al link già indicato e che illustra tutte le difficoltà affrontate per eseguire
l'operazione in piena sicurezza.
Sono passati 10 anni da allora. Al posto della torre di via Garrone sorge una
palazzina a forma di ferro di cavallo, con due edifici di dieci piani, che
degradano verso il centro, fino ai quattro piani del corpo centrale. I due
blocchi hanno come elemento unificante una piastra alta due piani e destinata a
una galleria commerciale (attualmente è vuota, la crisi economica fa danni ovunque). Sui tetti, al posto delle tegole e delle falde, ci
sono giardini pensili, a richiamare l'adiacente Parco Gustavo Colonnetti. L'architettura è moderna e gentile, le tecnologie si sono concentrate sulla sostenibilità e il rispetto dell'ambiente. In
questo nuovo complesso, costruito dalla Società Nuova Artom 2000, hanno trovato
casa una settantina di famiglie. 32 famiglie hanno comprato il loro appartamento
dalla Cooperativa San Pancrazio, 39 sono invece socie della Cooperativa Di
Vittorio, da cui hanno ricevuto la casa in affitto a canoni più bassi rispetto
a quelli del mercato.
Si passeggia in via Artom, si ricorda la diffidenza di una decina di anni fa,
mentre passano gli autobus e facce anonime di donne e bambini li aspettano alla
fermata, ci si addentra nel Parco Colonnetti, adesso attrezzato e dotato di
strutture sportive, spazi gioco per i più piccoli, sentieri per passeggiare e
avvistare la fauna che popola i prati, e si pensa a come il tempo tutto cambia.
Sono passati 10 anni dalla demolizione della Torre di via Artom, ma la Rete,
allora quasi all'inizio della sua storia italiana, conserva ancora le sue
tracce. Il Comune di Torino conserva
un video della demolizione (è talmente vecchio che non è in streaming: per aprirsi chiede il permesso di aprire Media Player Windows o qualunque programma presente nel computer per vedere i video...), mentre
il bel documentario pluripremiato Quelli di via Artom, il palazzo che non c'è più,
racconta le emozioni di chi ha abitato nella torre di via Garrone 73 per più di
trent'anni e l'ha vista cancellare dalla geografia (ma non dalla memoria) di
Torino.
Dal canale di youtube di Explodem, la ditta modenese che ha fornito e gestito l'esplosivo, l'abbattimento della torre.
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