Nel 1853, Torino fu circondata dalla Cinta Daziaria,
riconoscibile dall'andamento degli attuali corsi Bramante, Lepanto, Ferrucci,
Tassoni, Svizzera, Mortara, Vigevano, Novara e Tortona. La Cinta consisteva in
un muro alto due metri, interrotto da dodici porte, che permettevano l'ingresso
in città, dopo il pagamento di una tassa per tutte le merci che passavano. In
corrispondenza di queste porte, chiamate barriere, nacquero vari borghi, ancora
oggi riconoscibili nei quartieri torinesi perché portano il nome di
Barriera.
Il Borgo San Paolo nacque nel XIX secolo, in corrispondenza della
Barriera San Paolo, ed ebbe sin da subito una vocazione industriale, grazie
all'uso dell'energia elettrica e al fatto che i commerci non fossero gravati
dai dazi. All'inizio del XX secolo, si contavano nel borgo numerose industrie:
la Società Piemontese Automobili (SPA), sull'attuale corso Ferrucci, l'Italia in
corso Bardonecchia, la Chiribiri, nei pressi della piazzetta omonima, la Fides,
diventata poi Lancia, in via Monginevro, la LUX, la Fratelli Diatto, in via
Monginevro, la Ginevra, nei pressi dell'attuale piazza Adriano, la Sit,
diventata poi Ansaldo Automobili, la Nazzaro, e la futura Pininfarina. Questo
per citare solo quelle legate, in qualche modo, alla nascente industria
automobilistica.
Ovvio che tante industrie fecero di Borgo San Paolo uno dei primi quartieri
operai di Torino, il cui centro di riferimento era piazza Peschiera, l'attuale piazza Sabotino, dalla quale partivano a raggiera le principali vie del quartiere (sì, nei borghi sorti intorno alle barriere, l'impianto ortogonale caro alla Torino romana e ai suoi ampliamenti barocchi era andato perduto). "Come in tutti i
borghi esterni alla città, esisteva anche in San Paolo una fitta rete di
associazioni, gruppi parrocchiali, società filodrammatiche, numerose bocciofile
e circoli culturali. Poi c'erano le società operaie di mutuo soccorso, e i
circoli socialisti, che univano alle attività ricreative la propaganda
politica. Altri importanti luoghi d'incontro, soprattutto per gli uomini, erano
i cinematografi, i caffè, le cosiddette tampe liriche e naturalmente la
birreria Boringhieri" scrivono Federica Calosso e Luisella Ordazzo in
Borgo San Paolo, storie di un quartiere operaio. Per molti abitanti del
quartiere, la vita si svolgeva tutta nella borgata, tra la casa, la fabbrica,
la chiesa, il circolo operaio, l'oratorio, la strada. Andare a Torino era
considerato un vero e proprio viaggio, date la distanza e la cinta daziaria.
Ben presto San Paolo venne chiamato il 'borgo rosso', per la forte presenza di
operai legati ai movimenti socialisti e comunisti. E non solo. Curiosamente a
Borgo San Paolo arrivarono a vivere contemporaneamente personalità della politica italiana, legate
alla sinistra, che danno idea del clima di militanza che si doveva vivere nel
quartiere, soprattutto negli anni del fascismo e, successivamente, della
Resistenza. Qui crebbero i Negarville: Carlo Celeste, che fu il primo sindaco
di Torino, dopo la Liberazione, e che prima era stato operaio a San Paolo,
guardia rossa durante l'occupazione delle fabbriche del 1920 e quindi
prigioniero delle carceri fasciste, e il fratello minore Osvaldo, anche lui
operaio sin da giovanissimo e anche lui protagonista dell'antifascismo e della
Resistenza. Giancarlo e Giuliano Pajetta abitavano nell'attuale piazza
Sabotino ed entrarono da giovanissimi nel Partito Comunista Italiano e nella
resistenza al fascismo, diventando poi protagonisti della vita politica della
Repubblica Italiana. I sette fratelli Montagnana vivevano in via Monginevro e
la loro casa fu una fucina di comunisti, "un punto costante di ritrovo. Ad
esempio, durante l'occupazione delle fabbriche del 1920, gli operai per
sfuggire alla vigilanza della polizia, a turni scavalcavano il muretto del
giardino e andavano a rifocillarsi"
ricordano ancora Calosso e Ordazzo. Si leggono le loro pagine e si sente la necessità di leggere Ricordi di un operaio torinese di Mario Montagnana, uno dei sette fratelli della grande famiglia. In Borgo San Paolo erano volti familiari anche Antonio Gramsci, che aveva convertito al comunismo numerosi operai sardi, e Palmiro Togliatti, che avrebbe poi sposato Rita, una delle Montagnana.
Ma, da queste famiglie operaie e militanti, emergono soprattutto le figure delle mamme, di queste donne incredibili, le
mamme Pajetta, Montagnana e Negarville, che non solo insegnarono ai figli i valori della solidarietà e dell'uguaglianza, ma seppero diventare anche punti
di riferimento per le militanti in difesa dei loro diritti.
Mi piace riportare dal libro di Federica Calosso e di Luisella Ordazzo anche il
ricordo dei cortei del 1° maggio di Luisella Bossano, un'abitante del Borgo San
Paolo tra gli anni '40 e '60. "Erano sempre una festa per
tutti, grandi e piccoli. Ci si riuniva tutti in piazza Sabotino, e poi in
corteo, cantando, si andava verso corso Vittorio, dove confluivano i cortei
provenienti dalle altre zone della città. Ogni gruppo aveva il proprio
striscione, con il nome della fabbrica e il gruppo di appartenenza, striscioni
molto artigianali, fatti con la carta dipinta. I cortei, sempre cantando,
arrivavano tutti al Parco Michelotti. Lì veniva eretto un palco e quasi sempre
il comizio lo faceva Giancarlo Pajetta. Alla fine del discorso, tutti insieme si
faceva il pranzo al sacco. Poi, sempre a piedi (il 1° maggio non circolavano
mezzi pubblici), si tornava a casa".
E' una Torino operaia e militante che non c'è più. Anche il 1° maggio non è più
celebrato con cortei provenienti da tutta la città, ci sono meno operai, c'è
maggiore disincanto, ci sono altre vocazioni e una nuova idea della città. La cosa triste non è che non esista più quella Torino o
quella militanza nella difesa dei diritti. La cosa triste è che se ne perda la
memoria, perché, sotto traccia, c'è anche quell'identità nella nostra storia.
Ben vengano libri come Borgo San Paolo, a ricordarcelo.
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