Sapevate che nell'area in
cui sorge adesso il Liceo Alfieri, in corso Dante, c'era un antico istituto
minorile, fondato nel XVIII secolo? Si chiamava Ergastolo, dal nome di un canale che passava
nei suoi pressi e che poi si gettava nel Po, dopo aver formato una
specie di laghetto. L'Ergastolo era un istituto fondato da Vittorio
Amedeo III nel 1779 e destinato ad accogliere i 'giovani oziosi'; in
realtà, al principio doveva essere una sorta di centro di ritiro
spirituale, poi, viste le dimensioni e la complessità di spese per
la sua manutenzione, si preferì dedicarlo ai ragazzi vagabondi, agli
adolescenti, cioè, che non si erano macchiati di alcun reato, ma
avevano bisogno di 'correzione'.
Nell'Ergastolo la vita di questi
giovani era durissima, grazie a un Regolamento molto severo. Per esempio, una volta chiusi nella
Casa di Correzione, i ragazzi avevano il permesso di "l'aria libera
nell'interno cortile: saranno vestiti, nutriti a pane, minestra,
carne, e vino mantenuti e assistiti nelle malattie"; una volta
rinchiusi, i giovani, che dovevano avere più di 12 anni e meno di 20
ed essere abili al lavoro, non dovevano avere "assolutamente i
contatti fra di loro", non potevano giocare né "mantenere
corrispondenza occulta con gli estranei"; e "ogni tentativo dei
trattenuti per procurare a sé, o ad altri la libertà, e per aprirsi
occulta corrispondenza con estranei" sarebbe stato "gravemente
punito". Le punizioni non erano uno scherzo: secondo uno degli
articoli del Regolamento, "le pene ordinarie dei trattenuti che
mancassero in qualsivoglia modo ai doveri della Casa di Correzione,
sono, secondo le varie circostanze, le catene, le nerbate, l'essere
chiuso, e incatenato nelle camere ad uso di carcere, senza che sia
diminuita loro la porzione prescritta del consueto lavoro".
I
ragazzi dovevano avere cura di se stessi e della propria biancheria:
venivano forniti loro gli indumenti di cui avevano la responsabilità
e dovevano farli durare per il tempo stabilito, dovendosi cambiare le
camicie una volta alla settimana da aprile a settembre e due volte al
mese nel resto dell'anno; ai ragazzi, "non più in tenera età",
veniva messa una catena di ferro a una gamba, affinché non potessero
allontanarsi.
"In pratica", commenta il Centro di Giustizia
Minorile del Piemonte e della Valle d'Aosta, che fornisce queste
informazioni
nel suo sito "i ragazzi venivano portati, senza colpe,
in questo istituto, molte volte per risolvere beghe familiari di
matrigne o patrigni, e vi rimanevano per almeno sei anni. La vita
veniva scandita dalle 10-12 ore di lavoro ai telai della
manifattura dei fratelli Alberti che avevano l'appalto
dell'istituto.
In una guida di Torino dell'epoca si legge: 'Ergastolo: opera di correzione ossia ritiro per i figlioli
oziosi, i quali vengono occupati in diverse forme di manifattura, e
particolarmente in coperte di bava, ossia moresca, che equivalgono a
quelle di catalogna, colla prerogativa di non essere soggette al
tarlo...' Di tutto questo i ragazzi dell'Ergastolo non traevano
alcun beneficio, anzi si riduceva sempre più la quantità di cibo
fornita, mentre, invece, la mole di lavoro aumentava. Il lavoro
veniva fatto con l'aggiunta di una palla al piede; di notte i ragazzi
dormivano incatenati al letto e, da quando i fratelli Alberti avevano
vinto l'appalto, mangiavano solo pane e due razioni al giorno di
minestra di granturco. Molto presto iniziò un traffico di vestiti,
coperte ed altro che non veniva più distribuito ai ragazzi, bensì
venduto all'esterno. Nell'istituto, inoltre, non vi era
riscaldamento; verrà fornito soltanto nell'Ottocento, quando ci fu
una ristrutturazione. Naturalmente scoppiarono varie epidemie e i
ragazzi furono ridotti a larve umane. Nel 1790, i ragazzi rinchiusi
all'Ergastolo tentarono una rivolta, ma venne subito sedata con la
massima violenza".
L'Ergastolo fu chiuso sotto il dominio
napoleonico, riaperto nel 1814, non appena i Savoia tornarono a
Torino e, quindi, venne chiuso nel 1836, quando fu ristrutturato per
accogliere le donne del sifilocomio del Martinetto e le prostitute
della Generala.
E' una storia triste, che racconta le lacune delle società davanti ai più deboli e lo sfruttamento a cui vengono sempre sottoposti. Ma, curiosamente, mostra come le vocazioni dei territori di una città non vadano mai perdute completamente. Dall'Istituto Ergastolo al Liceo Alfieri, dalla 'rieducazione' degli adolescenti alla loro istruzione per crearsi un futuro. Due risposte diverse, figlie di epoche e ideali diversi, per i più giovani e per il loro inserimento nella società, negli stessi metri quadrati. Che non si perda la memoria del progresso compiuto in quel fazzoletto di terra, tra corso Dante e via Ormea.
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