La Consolata
è la vera chiesa dei torinesi, si dice sempre. Ed è vero: la
devozione popolare, nei momenti più emozionanti della vita cittadina
o personale, si esprime sempre con una preghiera nella Consolata. Una
chiesa che riassume nel suo aspetto la sua storia secolare e che
sorprende per il calore che infonde al suo interno, grazie alla
ricchezza dorata delle decorazioni e alla luce delle candele.
La
storia della Consolata è lunga quasi quanto quella torinese; le sue origini sono paleocristiane: fu voluta dal vescovo Massimo, probabilmente su un tempio pagano, per ricordare Sant'Andrea. La sua pianta è stata condizionata a lungo dalla vicinanza alle mura, una posizione davvero pericolosa, testimoniata ancora oggi dal proiettile di una cannonata francese dell'assedio del 1706 conficcata su una delle pareti, su via della Consolata. Intorno al 1000 passò ai Monaci Novalicensi, che costruirono una chiesa romanica, di cui è rimasta traccia solo nel campanile, considerato oggi uno degli edifici più antichi che si possano ammirare a Torino (insieme alla Porta Palatina e
alla Casa di Pingone) e grande esempio di arte romanica in città, nel perfetto equilibrio tra la struttura in laterizio e le colonne delle arcate in marmo.
L'attuale forma della Consolata si deve a tre
fasi di ampliamenti, iniziati in età barocca. Nel 1678 Maria
Giovanna Battista di Savoia-Nemours, la seconda Madama Reale, affida
a Guarino Guarini la fondazione della nuova chiesa. E lui costruisce
un corpo centrale ellittico, che prende più o meno il posto della
navata centrale della chiesa precedente, e una cappella a pianta
esagonale, sul volume della cappella dedicata a Maria
Consolatrice e costruita per rendere culto a un quadro recuperato nel Medioevo. I lavori terminano in tempo per l'assedio del 1706,
che vede la chiesa diventare centro della devozione dei torinesi,
nonostante l'infelice posizione geografica, a ridosso delle mura. E' a lei, la Vergine Consolatrice degli Afflitti che i torinesi rivolgono le disperate preghiere per resistere all'assedio. Terminata la guerra con la vittoria e diventata Torino capitale del
Regno sabaudo, grazie al Trattato di Utrecht, la
Consolata diventa co-patrona di Torino e viene ulteriormente ampliata da
Filippo Juvarra, che disegna l'attuale altare maggiore e l'attuale
cupola, che cambia la luminosità interna, senza però togliere la
sensazione di raccoglimento che pervade tutta la costruzione.
L'ultimo intervento è dell'architetto Carlo Ceppi, che tra il
1899 e il 1904 dà alla Consolata le sue attuali forme: intorno
all'esagono guariniano vengono aggiunte quattro cappelle ogivali,
davanti all'ingresso meridionale, diventato il principale, viene
realizzato il pronao neoclassico, tetrastilo e con colonne corinzie,
sul cui fregio c'è scritto, in latino,
Augustae Taurinorum Consolatrix et Patrona (Consolatrice e patrona di Torino). Ed è questo uno dei controsensi del rapporto tra la chiesa e i torinesi: in essa
si rende il culto a Maria Consolatrice degli Afflitti, ma per i
devoti è la Consolata, colei che deve ricevere consolazione.
In
un'intervista a
la Repubblica di qualche tempo fa, il giornalista
Vittorio Messori, che ha passato la sua gioventù a Torino, dà una
bella spiegazione: "E' la Consolata,
la
Cunsulà, perché è consolata dalla devozione del popolo.
Maria, di fronte alla Croce, trova nell'affetto e nella preghiera del
popolo il motivo della sua consolazione. È un bel nome. Non credo
sia un errore, un'inversione della
Consolatrix
afflictorum".
Interessante anche quanto ha scritto a proposito Giorgio
Calcagno, su
La Stampa: "Da
secoli, per tutti, è
la Consolà, una parola inventata contro ogni
logica, con un'ardita inversione semantica: quasi fosse lei, e non
noi, ad aver bisogno di consolazione. Nella città più razionale
d'Italia il controsenso verbale della Consolata è il più giusto
introibo all'irrazionalità della basilica, che avviluppa il
visitatore nella fantasia tortile del barocco, lo coinvolge in una
visione aliena, rovesciata specularmente rispetto al mondo
esterno".
Da sottolineare come alla costruzione del
tempio abbiano partecipato i tre architetti che maggiormente hanno
segnato l'immagine e l'immaginario di Torino: Guarino Guarini e
Filippo Juvarra, con le loro ardite soluzioni barocche, che hanno
dato a Torino uno slancio europeo, e Carlo Ceppi, che ha saputo
importare il gusto eclettico, nel rigore e nella severità
dell'architettura cittadina. Sarà un caso che tutti e tre siano
stati chiamati a lavorare alla chiesa a cui i torinesi sono più
legati?
L'attuale
forma della Basilica della Consolata è piuttosto labirintica: il
corpo centrale su cui si apre l'esagono guariniano, su cui si aprono
le cappelle, la possibilità di girare intorno al corpo centrale o di
scendere nella cripta, danno la sensazione di perdersi e di non
trovare più l'uscita. Ma non è una sensazione sgradevole, perché
all'interno della chiesa si viene colpiti dalla luce dorata, dalla
ricca policromia, che invitano al raccoglimento e alla preghiera. Si
può entrare nella Consolata con lo spirito laico dei nostri tempi e
visitarla con l'occhio curioso del turista, ma è davvero difficile
uscire, senza aver recitato una preghiera o aver rivolto un pensiero
all'Assoluto, qualunque sia la sua forma, spinti dal calore
avvolgente che le forme labirintiche emanano. Probabilmente questo è
il segreto dell'ascendente che esercita ancora sui torinesi.
Se
siete turisti in cerca di Torino, non dimenticate la Consolata, nel
vostro itinerario.
Nel 2014 ricorrono i 300 anni dalla
proclamazione della Consolata come patrona di Torino e
c'è un fitto calendario di appuntamenti per ricordare l'anniversario.