Quale
sia stato il primo ponte di Torino non si sa: sarà stato sul Po o
sulla Dora? La certezza, probabilmente, non l'avremo mai. Ma il più antico tra gli attuali, quello che più di tutti ha condizionato e cambiato la storia della città, è sicuramente l'odierno ponte Vittorio Emanuele I, che
unisce piazza Vittorio Veneto alla Gran Madre. Per lui e solo per
lui, è stata realizzata la prima via inclinata sul tracciato
ortogonale che aveva fino ad allora caratterizzato gli ampiamenti
torinesi: quella via Po che doveva unire i palazzi del potere di
piazza Castello con, per l'appunto, l'unico ponte sul fiume, in una
posizione per di più strategica, sotto il Monte dei Cappuccini, che
permetteva di controllare il territorio della città.
Per secoli
il ponte è stato di legno, con alcune parti in pietra. Poi è arrivato Napoleone Bonaparte, che,
in uno dei suoi viaggi torinesi (ricordate
le sue notti nella Palazzina di Stupinigi?), affascinato dalle somiglianze della
città con Parigi, disse al suo aiutante in campo: "Com'è
possibile che un fiume come questo, che ti ricorda la Senna, non
abbia un ponte degno di questo nome?! Deve avere un vero ponte, di
pietra. Facciamolo!"
E il 22 novembre 1810 iniziarono i lavori per
il primo ponte di pietra torinese.
Renzo Rossotti riporta nel libro
I
ponti di Torino, che, poco dopo l'inizio dei lavori, si iniziò a
parlare di un tesoro che era stato gettato con le fondamenta. "Quando
ne era stata gettata la prima pietra, vi era stato sepolto un sasso
cavo o colmo di carbone tritato, un tubo di vetro contenente un metro
di lastra d'argento, due iscrizioni dettate per l'occasione da
Giuseppe Vernazza, poi barone di Freney e socio dell'Accademia delle
Scienze, e dal Deperret, impresse nel metallo e, inoltre, una
collezione di settantanove medaglie commemorative e di nove monete
coniate sotto Napoleone. Omaggio a colui che il ponte aveva voluto,
perché già visto nella sua fantasia e, anche, riconoscimento alla
passione per medaglie e monete che caratterizzava Bonaparte" scrive.
Ma,
a parte quest'omaggio a Napoleone, nascosto nel fiume, il ponte non
ha altri segnali del suo fondatore, anzi. E' addirittura intitolato
al sovrano che portò con sé la Restaurazione e l'ordine
dell'ancien régime, Vittorio Emanuele I. Il re a cui fu dedicata la
Gran Madre, con un'iscrizione che sottolinea la gioia per il suo
ritorno, e che guarda al ponte e a Torino dalla piazza della chiesa.
La costruzione del ponte affascinava i torinesi, che non ne avevano mai visto uno di pietra. Quello che i Francesi stavano costruendo, del resto, era una struttura all'avanguardia, disegnata da Claude-Joseph La Ramée Pertinchamp, con un sistema di realizzazione delle arcate chiamato Perronet, dal nome di Jean-Rodolphe Perronet, che aveva profondamente rinnovato i sistemi costruttivi dei ponti d'Oltralpe.
La curiosità era legittima, ma non impedì che, con il ritorno dei Savoia, venisse proposto l'abbattimento del ponte, simbolo dell'occupazione napoleonica; si oppose lo stesso sovrano, ricordando, con una certa ironia, che essendo di origine giacobina, si sarebbe calpestato più volentieri.
La vista del Ponte Vittorio Emanuele I, sia da piazza
Vittorio Veneto verso la collina, con la prospettiva chiusa dalla
chiesa neoclassica della Gran Madre, sia dalla piazza della Gran
Madre, fino alla monumentale piazza Vittorio Veneto, è davvero scenografica
e grandiosa. Come se il ponte fosse un elemento naturale a unirle e fosse nato con esse.
E' il primo ponte di pietra, è uno dei ponti più amati
e più fotografati, anche se non è uno dei più monumentali. E' lungo 150 metri e largo circa 12, si stende su cinque arcate e gli originali parapetti in pietra
sono stati sostituiti da quelli in ghisa nel 1876, quando sono stati
effettuati i lavori per l'introduzione dei binari del tram. Sì,
perché tra le altre caratteristiche del ponte Vittorio Emanuele I,
c'è anche la forte presenza del trasporto pubblico. Guardate una
fotografia o una cartolina d'epoca: difficile vederlo senza un tram
che lo attraversa. E ancora oggi il 13 è lì, che passa e resiste, segno di continuità, da oltre un secolo.
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