Nel XVII secolo, quando la piazza Reale e la Porta Nuova erano ancora un sogno
vagheggiato dal duca Carlo Emanuele I e dal suo architetto, Carlo di
Castellamonte, le mura fortificate di Torino arrivavano fino alle attuali via
Maria Vittoria e via Santa Teresa. Lo sguardo che spaziava verso sud
si trovava davanti il grande fossato, che difendeva la città dai
possibili attaccanti, quindi edifici romani in rovina, acquitrini, boschi e campagne.
Nel secondo decennio del
XVII secolo, il duca Carlo Emanuele decise di ampliare la città verso
sud, con il prolungamento della via Nuova, l'attuale via Roma. Il
cuore dell'ampliamento sarebbe stata la piazza Reale, collocata quasi
a metà della via Nuova, tra piazza Castello e la Porta Nuova. Durante i lavori di costruzione dell'ampliamento, il fossato, che sarebbe poi stato riempito per costruirvi sopra la piazza Reale, si rivelò essere un problema, soprattutto in occasione di un evento di grande importanza per la dinastia sabauda.
Il 15 marzo 1620 l'erede
al trono Vittorio Amedeo I sposò la principessa Cristina di Francia,
figlia di re Enrico IV di Navarra. Per il Ducato di Savoia era un
matrimonio politico di notevole rilevanza, che legava i sovrani ai
Borboni, la nuova dinastia sul trono di Francia. Per Cristina,
invece, era un matrimonio inferiore alle sue aspettative: con una
sorella, Elisabetta, appena diventata regina di Spagna, e un'altra,
Enrichetta, destinata a essere regina d'Inghilterra, Scozia e
Irlanda, evidentemente il Ducato di Savoia, il ducato
dei montanari, come lo consideravano a Parigi, non era all'altezza delle sue
ambizioni.
Anche per questo Carlo Emanuele non badò a spese per
il suo arrivo a Torino. Cristina sarebbe arrivata in città dalla Contrada Nuova non ancora
terminata, dunque era necessario colpirla favorevolmente, offrirle un
colpo d'occhio che le sarebbe rimasto nel cuore, come prima immagine
della sua nuova città. Il corteo nuziale entrò a Torino dalla Porta
Nuova, iniziata solo nel 1619 da Carlo di Castellamonte e abbellita con architetture e
decorazioni provvisorie. Anche la via Nuova ricevette sontuose decorazioni effimere. Ma la gran sorpresa fu il passaggio sul vallo, con la piazza Reale ancora in costruzione. Per superarlo, il duca fece infatti realizzare un ponte provvisorio, che venne poi utilizzato per una
ventina d'anni. Era lungo 37 metri per 6,50 di larghezza e poggiava
su tre file di sei pilastri rettangolari, costruiti in mattoni. "In
mattoni erano i paramenti a scarpa delle pareti di attestamento,
mentre i setti laterali di appoggio ai terrapieni di sponda del
fossato, destinati a essere rinterrati, furono costruiti, come di
consueto, in modo più corsivo, a filari misti di mattoni e ciottoli.
Gli spigoli delle testate non furono rifiniti, lasciando gli agganci
per eventuali successivi ammorsamenti di una rifodera in muratura del
vallo, in realtà mai realizzata" scrive Luisella Pejroni Baricco,
nell'Indagine archeologica di piazza San Carlo a Torino, realizzata
durante i lavori di scavo per la costruzione del parcheggio
sotterraneo, all'inizio del XXI secolo.
E' stato infatti durante
questi lavori, che hanno cambiato il volto di piazza san Carlo,
restituendole la vocazione di piazza chiusa, che i resti dell'antico
ponte sono tornati alla luce. Per qualche tempo si è discusso anche
del loro destino, se integrarli nel nuovo parcheggio, come
testimonianza del passato sabaudo, o se studiarli e seppellirli di nuovo. Si
è scelta questa seconda soluzione ed è davvero amaro il destino
di questo ponte. Costruito per colpire l'immaginazione di una giovane
principessa ambiziosa e interrato, non appena non è stato più
utile, per dare spazio alla piazza Reale, trionfo del potere
assoluto; quindi ritornato alla luce, quando la piazza è stata
trasformata per restituirle lo splendore del passato, e di nuovo
sepolto perché, per la seconda volta, di nessuna utilità. Eppure, a giudicare l'energia con cui Cristina, diventata Madama Reale, seppe abbellire e difendere la sua capitale, non si può dire che il ponte provvisorio non seppe compiere la sua funzione.