Il restauro del
ristorante del Cambio arriva nel sito web del New York Times, che gli
dedica un post nel suo Style Magazine. Sin dalla sua apertura, nel
1757, il ristorante torinese, "uno dei più antichi del mondo", è
stato conosciuto "più per la sua clientela che per la sua cucina”,
sempre in equilibrio "tra l'alta borghesia locale e le stelle di
passaggio, Mozart, Nietzsche , Maria Callas e Audrey Hepburn".
Il
Cambio sembra seguire la storia della città nel bene e nel male,
spiega l'articolo, prima fiorente come le sue industrie, quindi in
difficoltà, nonostante lo slancio delle Olimpiadi del 2006 fino
all'ombra del fallimento, nel 2012, quando è stato acquistato
dall'investitore torinese Michele Denegri. Per Torino, nonostante la
crisi, sono tempi nuovi, che preparano un altro futuro. Questo almeno
sembrano lasciar presagire le parole di Denegri e dell'articolo: "'Quando ero piccolo, negli anni 70, Torino era una città per
pensione anziane e così il Cambio, con il suo cibo orribile e i suoi
interni stantii'. Oggi la città sta rinascendo, è la sede
dell'originale Eataly, ed è capitale del sempre più influente
movimento di Slow Food. Quasi a indicare un vero boom, la Fiat, con
sede a Torino, ha preso il pieno controllo di Chrysler e ha
recentemente annunciato i progetti per aumentare la produzione
annuale dell'impianto. Denegri vuole un ristorante degno di questa
nuova fioritura". Il suo Cambio è stato restaurato avendo come "riferimenti visivi Il grande Gatsby di Jack Clayton e Maria Antonietta di Sofia Coppola". E' stato chiamato un team di 100
restauratori tra falegnami tappezzieri, decoratori. La modernità è
arrivata con l'intervento di Izhar Patkin, a cui sono state affidate
le personalizzazioni di 200 piatti di Sèvres, e con i pannelli di
Michelangelo Pistoletto, mentre il designer Martino Gamper ha creato "tavole rotonde con intarsi di legno e sedie di velluto rosso".
Il
cambio più grande previsto per il ristorante, però, è tutto
sociale: "Denegri vuole portare un certo senso della democrazia. Molto probabilmente in
passato la sua famiglia non sarebbe stata tra i clienti regolari del
ristorante: lui dice con orgoglio che suo nonno
era un tassista". Ed è difficile, in effetti, immaginare un
tassista che frequenta regolarmente il Cambio. Denegri, che, spiega
l'articolo, ha "come ispirazione luoghi esclusivi come il Wiltons
di Londra o il Plaza Hotel di New York (prima della ristrutturazione
del 1999, chiarisce), sottolinea che lo spirito del ristorante non è
classista e lo staff farà sentire tutti a proprio agio". Parte di
questo cambio, "da simbolo dell'alta borghesia cittadina a vera
destinazione", viene dalla scelta del cuoco, Matteo Baronetto,
36enne per oltre un decennio accanto allo chef Carlo Cracco. La
cucina di Baronetto, conclude l'articolo, è un ritorno "alle mie
radici piemontesi".
Ma un torinese incuriosito non si ferma
solo alla descrizione dei restauri e del rinnovamento del Cambio. La
curiosità è anche per la città raccontata in sintesi, con pillole di suggerimenti per il turista, alla fine.
Così per l'arte si suggerisce il Lingotto Fiere, con hotel,
ristorante e Pinacoteca Agnelli (l'articolo è firmato da Marella
Caracciolo Chia), per i giardini l'indicazione è la reggia di
Venaria, nei cui interni "ci sono mostre e spettacoli", i dolci sono da
Stratta, dove "la dinastia Savoia comprava il panettone e i
tradizionali Gianduiotti", le bevande si comprano nella Casa del
Barolo, "una vetrina di vini regionali", la pasta si mangia da
Savurè, "che usa grano pugliese e piemontese per fare alcuni dei
migliori spaghetti cittadini" e la curiosità è il Museo della
Frutta, che unisce scienza, arte e produzione. Torino in poche righe,
raccontata agli statunitensi.
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