Nei giorni scorsi Capi di Stato e di Governo d'Europa e America, hanno celebrato
il 70° anniversario dello sbarco degli Alleati in Normandia e, in fondo,
l'inizio della fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma, per Torino, giugno, più
che l'inizio della fine della Guerra, fu il mese in cui, quattro anni
prima, nel 1940, iniziarono i bombardamenti. Il 10 giugno 1940 Benito
Mussolini dichiarò guerra a Francia e Inghilterra; nella notte tra l'11 e
il 12 giugno, Torino fu, con Genova, la prima città bombardata dagli
Alleati. L'Italia era talmente impreparata all'idea delle incursioni nel proprio
territorio, che gli aerei britannici trovarono sia Torino che Genova
perfettamente illuminate, come se fosse stato ancora tempo di pace. E le sirene,
che dovevano avvertire la popolazione del pericolo, suonarono a bombardamenti
già iniziati.
Perché Torino sia stata la prima città bombardata, è facile immaginare: era la città
geograficamente più vicina al confine, era la città in cui l'industria
automobilistica poteva essere facilmente convertita in industria bellica.
Distruggere le fabbriche torinesi, con il loro grande potenziale di produzione,
significava non solo ridimensionare il potenziale bellico, già non altissimo,
dell'Italia, ma anche colpire lo stato d'animo dei torinesi e degli italiani.
Il 1942 e il 1943 furono gli anni in cui la città subì i bombardamenti
più devastanti. Nella notte del 18 novembre 1942, decine di aerei lanciarono su
Torino oltre 90 bombe, che provocarono numerosi incendi e decine di morti. Pochi giorni dopo, oltre 200 aerei devastarono Torino con 177 bombe, che lasciarono centinaia
di morti e distrussero buona parte degli stabilimenti torinesi. Nel 1943, l'anno
della svolta per l'Italia in Guerra, con la caduta di Mussolini e l'armistizio
dell'8 settembre, Torino subì numerosi bombardamenti. Il 2 febbraio morirono 29
persone sotto le bombe della RAF e dell'Air Force degli Stati Uniti. Il 13
luglio ci fu il bombardamento più violento: 413 bombe causarono la morte di 792
persone e un migliaio di feriti. La cosa peggiore fu che il bombardamento non fu
annunciato dalle sirene e la popolazione fu colta impreparata. Ma, a volte, la
violenza degli attacchi faceva sì che cantine e rifugi antiaerei non
fossero sicuri.
E' difficile, una settantina di anni dopo, immaginarsi cosa dovesse essere la
vita in una città che viveva le penurie della guerra, a cominciare dal cibo, e
perennemente esposta al pericolo dei bombardamenti, senza alcuna sicurezza, con
una vita quotidiana assolutamente provvisoria, sotto tutti i punti di vista.
Eppure, quella città, manteneva le scuole aperte, continuava a recarsi al
lavoro, cercava persino di divertirsi mantenendo i cinema aperti e andando allo
stadio (il Grande Torino vinse il suo secondo scudetto).
L'8 settembre 1943, con l'armistizio e il passaggio dell'Italia al lato degli
Alleati, non significò la fine dei bombardamenti. La liberazione del Paese
avvenne anche attraverso i bombardamenti nelle grandi città. A Torino le bombe
continuarono a cadere fino a, praticamente, pochi giorni prima della
Liberazione: il 5 aprile 1945, uno degli ultimi bombardamenti colpì anche due
ospedali. Alla fine della guerra, Torino era una città in ginocchio: le sue
industrie, a cominciare dalla Fiat, erano distrutte, buona parte dei suoi
quartieri era stata distrutta, il centro cittadino contava decine di edifici
caduti.
Quale stretta al cuore dev'essere, vedere una città bombardata? Camminare tutti
i giorni in una piazza Castello con gli edifici danneggiati, raggiungere il
Lingotto devastato. E a questo aggiungere la penuria di cibo, le notizie
negative dal fronte, la paura per i propri cari in guerra, la fragilità della
vita per i bombardamenti. Sono sentimenti che possiamo solo immaginare: a
Palazzo Barolo
una bella mostra, appena terminata, raccontava la vita quotidiana di quegli anni e
queste fotografie, trovate nel web, raccontano gli effetti delle bombe in città. E, se vogliamo,
l'enorme forza di quelle generazioni che, uscite dalla guerra, ricostruirono
Torino e tutte le nostre città.
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