Il 1° novembre 1391 il conte Amedeo VII di Savoia, il Conte
Rosso, si spense nel Castello di Ripaglia, nell'Alta Savoia, dopo un'agonia di atroci
sofferenze. Aveva 32 anni, si era barcamenato abilmente tra Impero e
Papato, si era distinto in numerose bttaglie per assicurare stabilità
ai propri possedimenti, aveva ottenuto uno dei più importanti
obiettivi della dinastia: lo sbocco sul mare, grazie alla conquista
di Nizza.
L'improvvisa morte di Amedeo non solo lasciò orfana la
sua contea troppo presto, ma diede via a uno dei gialli medievali più
controversi. Arrivato a Ripaglia per mettere fine a una protesta
locale, il Conte Rosso partecipò a una caccia al cinghiale, una
delle sue grandi passioni; cadde da cavallo e fu costretto al letto.
Secondo la medicina recente, è molto probabile che il Conte venne
aggredito dal tetano e morì nel giro di pochi giorni. Ma a quel
tempo si diffuse rapidamente, anche per ragioni politiche, la voce
che fosse stato avvelenato.
Secondo le cronache dell'epoca,
durante la sua agonia Amedeo VII avrebbe fatto i nomi dei suoi
assassini, maledicendoli. La Corte non faticò a credere all'avvelenamento del
sovrano: il regicidio, in fondo, faceva parte della cultura
medievale, era il modo più sbrigativo di liberarsi di sovrani
considerati fastidiosi e/o pericolosi. E il giovane Conte Rosso,
figlio del leggendario Conte Verde, aveva dimostrato di avere tutte le
doti per ampliare i suoi domini e rendere ancora più fastidiosa
quella Contea piazzata sulle Alpi, a controllare i collegamenti tra
Francia, Italia e Svizzera. Per di più a Corte si muovevano tre
fazioni contrapposte, quelle filofrancesi di Bona di Borbone, madre
di Amedeo VII e a lungo governatrice della Contea, a causa delle
assenze del marito prima e della giovane età del figlio poi, e di
Bona di Berry, la moglie del Conte, e quella sabauda dei
Savoia-Acaia, che sarebbe succeduta sul trono in caso di estinzione
della dinastia regnante. Le tre fazioni servivano cause dinastiche
diverse: i Borbone e i Berry volevano assicurarsi gli strategici collegamenti sulle Alpi,
i Savoia-Acaia volevano, semplicemente, il trono. Si sarebbero spinte
a uccidere, pur di ottenere i propri scopi? La cultura del XIV secolo
non lo rendeva improbabile.
I sospetti si concentrarono
immediatamente sul medico Jean de Grandville, a cui Amedeo era
ricorso per curare un'incipiente calvizie. Grandville, di nascita
boema, era stato al servizio dell'imperatore Venceslao IV e poi del
Duca di Berry, il cognato del Conte: erano entrambi potenziali nemici
di Amedeo. Il Conte Rosso, pur cercando di mantenere i dovuti
equilibri, aveva appoggiato la causa del Papato, il Duca di Berry era
interessato ad avere il controllo della Savoia, per ampliare i propri
domini e assicurarsi passi e valli delle Alpi. I Savoia-Acaia fecero
arrestare il medico, liberato poi dai sostenitori della contessa
madre. Bona si attirò così i sospetti di essere la mandante
dell'omicidio del figlio. Con le fazioni francesi scatenate alla
ricerca degli assassini, Bona si allontanò prudentemente da corte.
Le indagini portarono all'arresto dello speziale Pietro di
Lompes, colpevole di aver fornito gli ingredienti necessari alle
pomate contro la calvizie del Conte. Lompes venne barbaramente
torturato e, arrivato a processo, disse quello che gli Acaia volevano
ascoltare: Grandville aveva ucciso il Conte su mandato di Bona di
Borbone. Il suo destino era ormai compiuto e la sua fine fu una delle
più barbare che si possano immaginare. Venne decapitato, il suo
corpo venne squartato e i pezzi vennero mandati in varie località
dei territori sabaudi, come monito e come dimostrazione della
giustizia eseguita. Poco dopo anche Grandville venne arrestato e
anche lui, torturato, disse quello che gli Acaia vollero sentirsi
dire: che aveva avvelenato Amedeo VII su mandato di Bona di Borbone,
decisa a governare senza più il controllo del figlio. Giallo risolto?
Niente affatto!
Pochi anni dopo, siamo nel 1394, il frate
Guillaume Francon, rivelò al priore dei Frati Minori di Macon di
essere stato l'ultimo confessore di Pietro di Lompes e che questi,
poco prima di salire sul patibolo, gli aveva assicurato di essere
estraneo a qualunque complotto e di aver confessato sotto tortura.
Francon rivelò anche di aver parlato dell'innocenza di Lompes ad
Amedeo di Acaia, ma questi, interessato a indebolire le fazioni
filofrancesi della Corte, lo aveva ignorato. La clamorosa novità
raggiunse le corti di mezza Europa e Bona riuscì a far riaprire il
caso della morte del figlio. Nel frattempo, essendo stato scagionato
da ogni colpa, i resti di Lompes vennero ricomposti e allo sfortunato
speziale venne data cristiana sepoltura, a Chambery, allora capitale
dei Savoia. Grandville venne liberato, dopo aver affermato di aver
confessato sotto tortura. La furia distruttrice, però, non si era ancora placata.
Oddo di Grandson, accusato di aver organizzato
tutto il falso complotto e giudicato innocente in varie corti
d'Europa, venne sfidato a duello dal nobile Gerard d'Estavayer, non
appena tornato in Savoia. Era un cosiddetto 'giudizio di Dio', che Grandson
accettò, ma che poi perse malamente, essendo più anziano e più
malfermo dello sfidante. Ucciso Grandson, raggiunta ormai l'età per
governare il giovane Amedeo VIII, la storia dei Savoia lasciò da parte il mistero della morte del Conte Rosso.
Quando Torino divenne la nuova capitale del Ducato, i resti di Amedeo VII vennero portati in città, per volere di Emanuele Filiberto. Oggi sono sepolti nella Cappella della Sindone, insieme a quelli del figlio Amedeo VIII e dello stesso Emanuele Filiberto.
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