Nel Seicento l'aristocrazia torinese
iniziò la 'colonizzazione' della collina, con eleganti residenze
circondate di sontuosi giardini e, soprattutto, di vigne, che davano
poi il nome all'intera proprietà. In questa nuova moda si lanciarono
anche il cardinale Maurizio, fratello del duca Vittorio Amedeo I, e
la duchessa Cristina prima moglie e poi vedova di Vittorio Amedeo I.
Nella sua vigna in collina, arrivata a noi come Villa della Regina,
il cardinale riuniva poeti e intellettuali della sua Accademia dei
Solinghi, per conversare di arte e di cultura. Cristina, invece, fece
della Vigna la più amata delle sue residenze.
Entrambe le
proprietà rientravano nel disegno propagandistico della dinastia. La
Vigna di Cristina, chiamata la Vigna di Madama Reale, era di fronte
al Castello del Valentino, l'altra sua residenza prediletta, ed era a
poca distanza da Villa della Regina, la cui magnificenza era chiara a
tutti i torinesi, non appena uscivano dalle mura. A separare le Vigne
dalla città c'era il Po, che rendeva ancora più scenografica la
loro presenza. Era come un grande teatro, un'efficace
rappresentazione dello splendore della monarchia assoluta, esaltata
nel
Theatrum Sabaudiae, distribuito tra le Corti europee.
Proprio
il
Theatrum Sabaudiae, una magnifica raccolta di incisioni delle
residenze fatte costruire dai Savoia, illustra quella che doveva
essere la residenza della Vigna di Madama Reale, secondo il disegno
di Andrea Costaguta. Il palazzo doveva avere forma quadrata, con due
ali; alle sue spalle una grandiosa esedra, con scale e fontane,
circondata da giardini simmetrici, ninfei, giochi d'acqua. Il
progetto non fu mai realizzato completamente.
La residenza porta con sé
anche una storia romantica. Se furono Andrea Costaguta prima e Amedeo
di Castellamonte poi a occuparsi del disegno della Villa, fu il conte
Filippo San Martino d'Agliè a seguire costantemente i lavori. La
miglior descrizione di quella che doveva essere la Vigna di Madama
Reale nel Seicento è firmata da lui, con il nome accademico di
Filindo il Costante. Numerose erano le allegorie negli affreschi,
numerosi i motti scritti da Filippo per Cristina, con un solo
obiettivo: esaltare Madama Reale, divertirla, renderla protagonista.
Da un punto di vista romantico, la decorazione della residenza,
studiata personalmente da Filippo, fu la sua dichiarazione d'amore a
Cristina, che qui passò gli ultimi anni della sua vita tumultuosa,
qui diede le sue feste più fastose, qui si circondò
dell'aristocrazia piemontese, ricevendo alleati e antichi nemici, qui
visse liberamente
il suo amore con il bel conte d'Agliè, senza
preoccuparsi delle maldicenze.
Della fastosa villa di Cristina e
Filippo oggi rimane poco o niente. Degli affreschi voluti dal conte
non c'è più traccia. Troppi i secoli passati, troppo intensa,
probabilmente, la storia di Torino. Alla morte di Cristina la villa
cambiò di proprietà, per tornare in mano ai Savoia sotto Vittorio
Amedeo II, che qui installò la contessa di Verrua,
la più famosa delle sue amanti. All'inizio del XIX secolo, ha ospitato Paolina
Borghese, in fuga dalla noia di Torino. Fu suo marito, il principe Camillo Borghese, a ordinare l'abbattimento delle ali dell'edificio. Altri
passaggi di mano, per arrivare al 1932, quando fu acquistata da
Werner Abbegg, che la trasformò in un centro d'incontri; negli anni
'80 gli Abbegg donarono la Villa al Comune di Torino, che la cedette
alla Compagnia di San Paolo. Quest'ultima l'ha restaurata, per
utilizzarla come sede del proprio Archivio Storico.
Da qualche
tempo la Villa è visitabile su appuntamento. Da vedere, però, c'è
ben poco: affreschi, decorazioni e mobili originali non ci sono
ovviamente più, il gusto interno è quello di un ente che si è
adattato alle architetture labirintiche degli antichi palazzi
aristocratici. Dalle finestre la vista si affaccia sul bel parco e
offre prospettive che sorprendono e affascinano, tra le siepi, gli
alberi e le simmetrie recuperate. L'architettura esterna della villa
è severa, caratterizzata da due lesene a tutta altezza che dividono
la facciata, in tre parti, con un ritmo di tre finestre nella parte
centrale e di due in quelle laterali; le finestre del primo piano
hanno cornici triangolari e curve alternate; al centro, a movimentare
il disegno, c'è il portone, sotto due colonne di gusto dorico, che
reggono il balcone soprastante.
Anche il Parco è stato
trasformato ed è visitabile solo la parte bassa, intorno alla
palazzina. Dei giardini seicenteschi di Cristina e Filippo non c'è
traccia: gli sono succeduti i gusti settecenteschi per le simmetrie e
ottocenteschi per i giardini romantici. C'è un bel lago, frequentato
da piccoli animali, che dona gentilezza e romanticismo al paesaggio;
sull'altro lato si indovinano, al di là della balconata, tra gli alberi, il Castello
del Valentino e i palazzi torinesi.
La Vigna di Madama Reale è
in strada Comunale S. Vito Revigliasco 65, per visitarla bisogna
scrivere a info@fondazione1563.it. Non vi trovate la romantica storia
d'amore di Cristina e Filippo, ma sì, nel giardino, molta pace,
molta eleganza, molto silenzio e qualche malinconia per il tempo che
va, non ritorna e tutto trasforma.
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