Si potrebbe considerare agosto il mese
del duca Emanuele Filiberto di Savoia? Considerato che il 10 agosto 1557 ottenne la vittoria che gli cambiò la vita, a San Quintino, contro
l'esercito francese e nel nome del re di Spagna Felipe II, e
considerato che morì il 30 agosto 1580, probabilmente non c'è mese
più significativo, per raccontare la sua vita appassionante.
Così in quest'agosto
fatale, l'attenzione si sofferma su di lui, complice anche la lettura
di una bella biografia dedicatagli da Carlo Moriondo e intitolata
semplicemente Testa di Ferro. E' in questo libro, di
lettura piacevole e scorrevole, che si trova una stupefacente descrizione della
Torino di Emanuele Filiberto. Una città
scelta per essere capitale dell'ambizioso Ducato e ancora racchiusa
nelle ormai strette mura romane. E fosse solo questo.
Emanuele
Filiberto è il duca del primum vivere, colui che getta le basi
necessarie, affinché il Ducato possa aspirare a un ruolo nello scacchiere italiano ed europeo, che sia qualcosa di
più di quello di Stato cuscinetto sempre a rischio di scomparsa. Numerose
sono le riforme economiche e sociali che impone al Piemonte e alla
Savoia, dall'abolizione della servitù della gleba alla realizzazione
dei primi canali, dalla convivenza diffidente con i Valdesi alla
piccola flotta mandata a Lepanto per esserci, dall'imposizione dell'italiano come lingua della burocrazia al sostegno convinto all'Università.
Una delle sue prime
iniziative, riavuta Torino dai francesi, è il rafforzamento della
sua difesa militare, con la costruzione della magnifica Cittadella, una delle
più ammirate, temute e studiate d'Europa, presa ad esempio nelle
successive costruzioni militari, persino nelle lontane e inquiete
Fiandre. Ma quale capitale doveva difendere un simile prodigio
dell'architettura rinascimentale?
La descrizione che
Moriondo ne fa in Testa di Ferro è impressionante: "Ai nostri
occhi sarebbe parsa composta da topaie. Strade strette e tortuose,
secondo il capriccio dei proprietari, che nessuna legge urbanistica,
per molto tempo, vincolò a rispettare distanze e passaggi; con
sporti anche a poca altezza dal suolo, che sorreggevano loggiati e
balconi, con travi e puntelli gettati attraverso la via, per sostenere
edifici che parevano sul punto di sfasciarsi".
Siete rimasti
sbigottiti? Dov'è lo splendore del Rinascimento italiano? Dove sono
i palazzi patrizi e gli eleganti giardini? Nella Torino ereditata da
Emanuele Filiberto, facciamocene una ragione, non ce n'è traccia. Non
solo la capitale del Ducato era Chambéry, e dunque le eventuali
attenzioni dei sovrani andavano alla città francese, ma lo Stato
sabaudo aveva grane ben più importanti dell'inadeguatezza della
capitale: doveva sopravvivere alle ambizioni francesi e spagnole,
doveva sopravvivere alle numerose e sanguinose guerre che
martoriavano il suo territorio, non aveva tempo per pensare agli splendori rinascimentali. Il risultato è che a Torino "le
case erano tutte basse; intere famiglie vivevano in uno o due locali
malamente areati e malamente illuminati"; in genere "le case non
avevano più di due piani" ed erano come "piccole torri: si
lavorava al piano terreno (all'occorrenza vi dormivano i garzoni), si
mangiava al primo, si dormiva al secondo". Erano case di poveri e
di abitudini molto diverse da quelle odierne.
Basti pensare che
Torino è sempre stata una città ricca d'acque, grazie alla
vicinanza di Po, Dora, Stura e Sangone; e questa ricchezza permetteva
di mantenere una certa pulizia. Ma l'immagine che esce da
quest'affermazione è comunque abbastanza disgustosa per i canoni
moderni: "Scorrevano in città molti ruscelli, deviati lungo le
strade per pulirle dalle lordure che tutti gettavano da porte e
finestre, senza curarsi se finivano addosso ai passanti". Se non
fosse sufficiente, all'epoca era normale convivere con gli animali: "Numerose le stalle, gremite di bovini e di suini; in tutti i
cortili si tenevano conigli e si allevava pollame; il transito di
carri tirati da cavalli o da buoi era frequente".
Una capitale
di stamberghe, che si mantenevano in piedi a fatica, e in cui era
normale trovarsi polli che zampettavano per strada e sentire muggiti
provenienti dalle stalle. Poco a che vedere con la raffinata eleganza
dei palazzi estensi o con le ardite architetture fiorentine. Di
quella Torino, oggi, sopravvive poco o niente: il Duomo, di chiara
ispirazione rinascimentale toscana, alcuni edifici intorno alla
piazza IV Marzo, l'angolo più medievale di tutta la città.
Dopo Emanuele Filiberto, fondatore del nuovo Stato sabaudo e della nuova capitale, sarebbero arrivati Carlo Emanuele I e
la nuora, Cristina di Francia. Con loro si sarebbero imposte le idee di potere assoluto del sovrano e lo
splendido barocco, che avrebbero cancellato la città medievale e
avrebbero dato a Torino l'impronta di capitale europea, vagheggiata da Emanuele Filiberto.
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