La marcia di avvicinamento al Po è costata a
Torino vari secoli. Il secondo ampliamento, nel XVII secolo, ha
portato la città fino quasi alla riva del fiume e ha dotato il suo impianto romano e
ortogonale della prima grande via inclinata, l'attuale via Po, costruita
proprio in direzione dell'allora unico ponte sul fiume. In età
napoleonica, quando le mura furono abbattute, lo spazio tra la città
e il fiume fu abbellito da una grande esedra alberata e da un viale
che portava fino al ponte sul Po. E' stato solo nella prima metà del XIX
secolo che la città ha assunto il suo aspetto attuale, con la
monumentale piazza Vittorio Veneto, una delle piazze più grandi
d'Europa.
Ma il fatto che Torino non
arrivasse al fiume non significa che le sue rive non fossero abitate
o frequentate. Intorno al Po ruotava un mondo di mestieri umili,
dalle lavandaie ai barcaioli e ai pescatori, che lo rendevano animato e vivo.
Lungo le sue rive sorsero con il tempo umili abitazioni, catapecchie
e capanne, che poco avevano a che vedere con l'aspetto solenne che la
capitale dei Savoia stava assumendo. Sia da
un lato che dall'altro del grande fiume, c'erano piccole case che
arrivavano fino alla riva, c'erano fango, miseria e, come
quasi sempre accade in queste situazioni, malaffare. Uno dei quartieri
più famosi per la sua pericolosità e insalubrità era il Moschino,
che sorgeva tra gli attuali piazza Vittorio Veneto e corso San
Maurizio. Anche il suo nome spiega quanto fosse poco salubre
frequentarlo: le rive del Po erano infestate da moscerini e da
zanzare, soprattutto d'estate, così la presenza degli insetti diede
il nome a tutto il quartiere. E non solo. All'interno del Moschino
passava anche il canale dei Canonici, una specie di fogna, che
raccoglieva i liquami, li trasferiva nelle campagne di Vanchiglia per concimarle e, quindi, arrivava verso il Moschino, con l'ultimo tratto a cielo aperto e tutte conseguenze immaginabili. Ma contro il canale,
appartenente ai Canonici del Duomo, le autorità potevano far ben
poco, dato che i prelati si appellavano a un diritto acquisito nella
notte dei tempi. Le case umili e fatiscenti, i vicoli mal illuminati
e così stretti da impedire una buona aerazione, l'umidità del
fiume, la presenza di topi e insetti, gli odori intollerabili e le malattie provenienti dal canale, tutto contribuiva a dare
un'immagine di miseria e disperazione.
Nato come borgo fluviale,
legato alle umili attività sul fiume, con il tempo il Moschino finì con
l'attirare anche persone poco raccomandabili, tanto che di notte
persino le forze di sicurezza evitavano di entrare. L'insalubrità dell'area e la mancanza di controllo delle autorità
sulle attività più o meno legali del Moschino, le ricorrenti
epidemie di colera fecero sì che nel
1872 si decise il suo abbattimento. Tra i primi a esigere
la sua demolizione ci fu Alessandro Antonelli, il celebre
architetto della Mole Antonelliana, che, abitando a poca distanza del
Moschino, pretendeva fosse ricostruito e riqualificato, anche per
migliorare l'immagine di Torino, capitale del Regno. Un primo
progetto di riqualificazione, poco dopo la terza guerra
d'indipendenza, fu firmato dall'architetto Carlo Gabetti, che, da una
parte intendeva abbattere le case sulla linea del prolungamento di
corso San Maurizio fino al Po, in modo da 'salvare' le case laterali,
dall'altra proponeva la costruzione di un canale coperto, che avrebbe
portato i liquami verso la confluenza tra il Po e la Dora, in modo da
liberare tutta l'area del Moschino e risanarla.
Nel 1872 le
casupole del Moschino furono abbattute e al loro posto vennero
costruiti i Murazzi, in continuazione di quelli già presenti a sud
del ponte sul Po. In questo modo tutta l'area venne messa in
sicurezza, anche in vista delle piene del Po; ci fu il risanamento
necessario, che permise la costruzione degli edifici dell'attuale
Vanchiglia; si conquistò l'aspetto signorile che l'antica capitale
sabauda voleva per sé, anche avendo ceduto a Roma il ruolo di capitale d'Italia.
Peccato che non c'é più quel borgo antico.
RispondiElimina