Che il legame tra
Cristina di Francia e Filippo d'Agliè sia stato uno dei più
romantici del XVII secolo, non solo torinese, è cosa che su Rotta su
Torino
è già capitato di sottolineare. Lei, bella e
sensuale, giovanissima sposa di Vittorio Amedeo I, era nata
principessa di Francia ed è passata alla Storia come Madama Reale. Lui,
fascinoso e colto conte di San Martino, apparteneva a una delle più
nobili casate piemontesi, direttamente discendente dal re Arduino.
Per amore di Cristina, Filippo non si sposò mai, rinunciando così
al primo obiettivo di qualunque dinastia, la riproduzione che
garantisce la continuità. Per amore di Filippo, Cristina, rimasta
vedova in giovane età, ignorò maldicenze e pettegolezzi della corte
e non rinunciò ad averlo al proprio fianco, come consigliere,
sostegno e amante.
Ma se romantico è stato il loro legame
terreno, anche le leggende che accompagnano la loro morte e, chissà,
la loro vita ultraterrena non sono da meno.
Tutto è iniziato il
27 dicembre 1663, nei pressi del Castello del Valentino, una delle
dimore predilette di Cristina. Il giorno della sua morte, varie
persone, senza alcuna relazione tra di loro, e senza sapere che la
Duchessa era morta, videro un fenomeno stranissimo e inspiegabile. Mi
piace come lo racconta Giusi Audiberti nel suo bel libro,
Il fantasma
del Castello, a iniziare dal paesaggio che circondava i testimoni
dell'incredibile visione: "Una densa nebbia saliva dalle acque del
Po, a lambire i versanti boscosi della collina torinese; il fiume
scorreva invisibile, con un fruscio ovattato: gli alberi del parco
del Valentino emergevano a tratti con gli spigoli dei loro rampi
spogli, come improvvise inquietanti presenze dalla fitta cortina
lattiginosa. Dei tetti di ardesia, che coronoavano con ardito
elegante slancio, i padiglioni del castello, si intravedevano appena
i profili sfrangiati dei culmini. Il freddo pungente della notte
invernale, l'ora tarda, l'umida presenza ostile della nebbia fecero
sì che, poco prima della mezzanotte, solo in pochi ebbero modo di
assistere alla straordinaria visione".
All'improvviso la nebbia
diradò e si vide scivolare sul fiume, in un silenzio irreale, una
carrozza dorata, come avvolta dal fuoco. Una carrozza che fu poi
vista raggiungere la Vigna collinare,
l'altra residenza prediletta della Duchessa appena morta, anch'essa, come il Castello del
Valentino, decorata e affrescata da Filippo, con miti, immagini,
versi e motti dedicati affettuosamente alla padrona di casa, sua
amante e sua compagna di vita. L'apparizione di questa carrozza di
fuoco, nella notte della scomparsa di Cristina, unì idealmente le
due magnifiche residenze barocche, entrambe fortemente volute dalla
Duchessa, entrambe simbolo dello sfarzo dell'epoca barocca, e del
programma politico e scenografico dell'assolutismo secentesco, ed
entrambe teatro del suo amore proibito per il bel conte d'Agliè.
Ma
i vertici del romanticismo si raggiungono nel 1667, alla morte di
Filippo. Il conte chiese di essere sepolto sul Monte dei Cappuccini,
nell'orto del Convento, nella nuda terra, come segno di umiltà e di
disprezzo per le glorie terrene (i suoi resti furono trovati nel
1989, insieme agli inseparabili fornelli da pipa). In quei giorni, ci
fu chi vide la carrozza di fuoco di Cristina scivolare di nuovo lungo
il Po, per risalire poi verso il Monte dei Cappuccini e perdersi nei
boschi della collina torinese. I due amanti di nuovo insieme, questa
volta per l'eternità?
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