Nel 2014, Torino celebra i 300 anni
dall'arrivo dell'architetto che più di tutti ha segnato il suo
immaginario e il suo territorio: Filippo Juvarra.
Su Rotta su
Torino
è già stato scritto come Palazzo Madama abbia deciso di celebrare l'anniversario
offrendo la possibilità di fare colazione tutte le mattine, dal
martedì al sabato, dalle 7.30 alle 9.30, nel suo caffè, collocato
in uno dei più fascinosi spazi juvarriani dell'edificio, la veranda
dell'angolo settentrionale, rivolto verso Palazzo Reale e
la chiesa di San Lorenzo. Per salire fino alla veranda, essendo
ancora chiuso il Museo, si usa il grande scalone d'onore, uno dei più
belli, sontuosi ed eleganti di Torino, firmato dal grande
Filippo (se visitate Torino, non potete non salire su questo scalone,
che magnifica la luce, riempie di stupore e racconta la Torino che
rende noi torinesi orgogliosi).
Tutti sappiamo che Filippo
Juvarra arrivò a Torino dopo il Trattato di Utrecht, che trasformò
il Ducato di Savoia in Regno di Sicilia. Durante il viaggio compiuto
nell'allora lontana isola, per accettarne la Corona, Vittorio Amedeo
II venne a sapere di questo giovane abate, che apparteneva a una
famiglia di argentieri di origine spagnola, era appassionato d'arte e
architettura e aveva lavorato a Lucca, a Firenze e a Roma. Ma come si
conobbero i due? A metterli in contatto fu una carrozza.
Il
giovane architetto fu segnalato al nuovo Re per il suo talento grafico. Talento che stupiva i contemporanei, come si
legge nella
Vita del cavaliere Filippo Juvarra, di autore anonimo, ma
attribuita a suo fratello Francesco. A Roma, Carlo Fontana, che
Filippo considerò suo maestro per tutta la vita, lo prese nel suo
studio avendogli chiesto come prova d'esame il disegno di un
capitello ed essendo rimasto colpito dalle sue straordinarie capacità
di disegno. Una qualità, questa, di cui Juvarra doveva essere estremamente
sicuro se, racconta ancora l'autore della
Vita, al suo primo incontro
con Vittorio Amedeo, invece di portare disegni già realizzati, per
mostrare idee e talento, aveva con sé
toccalapis e
tiralinee, per disegnargli seduta stante qualunque cosa
avesse voluto. E Vittorio Amedeo II volle una carrozza di eccezionale
bellezza, in grado di stupire i palermitani e i siciliani tutti,
perché sarebbe stata la carrozza con cui sua moglie, la regina Anna,
avrebbe fatto ingresso nella capitale dell'isola. La carrozza è
andata perduta, ma le descrizioni arrivate a noi riportano che era di
una magnificenza "senza pari in Europa" e che fu utilizzata da ben sei
regine di Sardegna: Anna, che fu la prima, quindi Cristina, Polissena
ed Elisabetta, mogli di Carlo Emanuele III, Maria Antonia, moglie di
Vittorio Amedeo III, e Clotilde, moglie di Carlo Emanuele IV.
Peccato
averla perduta, non avrebbe sfigurato
nella bella mostra che la Reggia di Venaria, suo capolavoro, ha dedicato nei mesi scorsi allo sfarzo e al
fascino fiabesco delle Carrozze Reali.
Il disegno sontuoso di
questa carrozza convinse re Vittorio Amedeo II a portare Filippo
Juvarra con sé a Torino, per affidargli la
trasformazione della città, da capitale di un Ducato transalpino a
capitale di un Regno ambizioso. Il primo incarico per il giovane
messinese era già pronto: la realizzazione della Basilica di
Superga, con cui re Vittorio Amedeo manteneva fede al voto fatto alla
Madonna, in occasione dell'assedio di Torino del 1706 e con cui il
grande Filippo avrebbe segnato per sempre il profilo delle colline di
Torino, l'immaginario e l'idiosincrasia di noi torinesi.
Benedetti
siano questi 300 anni, Filippo!
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