Sul Po si vedono filare rapide le canoe delle associazioni
canottieri, passano pigramente Valentino e Valentina, le due
imbarcazioni turistiche che fanno la spola tra il centro e
Moncalieri, si
affacciano rari pescatori con le loro canne. Ma un porto sul fiume,
luogo di traffici commerciali, no, non solo non c'è, ma neanche lo
immaginiamo. Eppure, nel passato, il Po è stato una delle più
importanti vie di comunicazione del Ducato e del Regno di Savoia, una
via di trasporto di merci e persone che sostituiva le strade,
inesistenti o insicure.
A dimostrare l'importanza del Po
nell'economia del Piemonte e nella politica dei Savoia, c'è il fatto
che sin dal XV secolo fu stabilito che i diritti sulle acque dei
fiumi appartenevano al sovrano. I diritti riguardavano i porti, la
derivazione delle acque, l'asportazione delle sabbie e della ghiaia,
l'uso dell'energia idraulica per mulini e opifici. Ogni attività
legata al fiume doveva avere, dunque, l'autorizzazione del sovrano e
doveva pagare a lui i conseguenti tributi. Nel 1577 Emanuele
Filiberto stabilì la figura del Magistrato delle Acque, poco più di
un secolo dopo, nel 1683, la prima Madama Reale, Cristina di Francia,
istituì la figura dell'Ammiraglio del Po, che doveva vegliare sulla
navigazione e sullo sfruttamento del fiume, riscuotere il pedaggio
dovuto da chi utilizzava il ponte sul fiume e controllare i ponti di
barche costruiti per l'attraversamento di carri e cannoni.
Il
porto di Torino si trovava nei pressi dell'attuale ponte Vittorio
Emanuele I, tra piazza Vittorio Veneto e la piazza della Gran Madre;
nelle sue vicinanze c'era il piccolo borgo del Moschino, in cui
vivevano pescatori, barcaioli, lavandai, sabbiatori. La piccola
flotta di pescherecci aveva una propria festa il giorno di San
Giacomo, il 25 luglio. Era la Festa dell'Acqua e dei Barcaioli, di
tradizione antichissima e di rituali che si ripetevano ogni anno. "Gli Abbà, che rappresentavano i caporioni andavano su una barca
tutta tappezzata e inghirlandata di fiori, fino alla chiesa di San
Lazzaro (ubicata sull'attuale Lungo Po Cadorna) e, là arrivati,
facevano benedire i pesci destinati alla funzione. Poi tornavano con
la grande barca in mezzo al fiume e, uno per uno, gettavano i pesci
benedetti nell'acqua, mentre il fiume era pieno di barchette di ogni
tipo. Ogni pesce portava legato un nastrino colorato, il galarin. A
quel momento tutti quelli che erano abili nel nuoto si tuffavano tra
le onde per ripescare i pesci; chi riusciva ad acchiappare il pesce
più grosso veniva proclamato il re della festa ed aveva diritto di
aprire il gran ballo e di scegliersi la ballerina tra le più belle
ragazze del Borgo" scrive Gian Enrico Ferraris nel suo bel libro Il
Moschino, dedicato all'omonimo borgo scomparso e alla vita lungo il
Po, nei secoli passati.
Il Po era utilizzato anche
dall'aristocrazia e dalla Casa regnante; sin dal regno di Emanuele
Filiberto, i sovrani usavano navigare fino a Chivasso o a Casale
Monferrato. Nel 1727, i Savoia ordinarono ai cantieri navali di
Venezia una delle più belle imbarcazioni dell'epoca, il Bucintoro, una peota a fondo piatto, con otto rematori, utilizzata dai
Dogi e tipica della Laguna. L'aveva voluta re Carlo Emanuele III, per
affermare il gusto sfarzoso dei Savoia. Fu consegnata
nel 1731 e arrivò a Torino a settembre dello stesso anno, dopo aver
risalito il Po. Il Bucintoro misurava 6 metri
di lunghezza e 2,56 di larghezza ed era riccamente scolpita con
intagli e dorature che causarono ammirazione (e continuano a
causarla). "L'uso delle imbarcazioni da diporto è di origine
molto antica ed infatti la Repubblica di Venezia e tutti gli stati
rivieraschi del Po prestavano particolare cura agli allestimenti di
gala per le imbarcazioni impegnate nei loro festeggiamenti. Così la
nobiltà che governava lo Stato di Ferrara, il Ducato di Mantova e lo
Stato Pontificio" commenta Ferraris nel suo libro.
Di tutte
quelle nobili imbarcazioni, l'unica peota arrivata a noi è quella di
Carlo Emanuele III: in un prezioso allestimento, è oggi uno dei
gioielli che si possono visitare alla Reggia di Venaria Reale.
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