Dopo aver risanato l'area del Moschino,
la furia risanatrice del XIX secolo, che già aveva provveduto a
costruire via Pietro Micca e via IV marzo, per dare al centro storico
le caratteristiche igieniche idonee a una città di quel tempo, si
volse verso la Dora. Qui, data la vocazione industriale dell'area,
erano sorti i primi quartieri operai, le cui condizioni igieniche non
erano particolarmente brillanti. Tra i complessi che attirarono
l'attenzione delle autorità c'era il Ciabòt d'le Merle, il Chiabotto
delle Merle; poco si sa di questo complesso, chi lo fa risalire al
Lazzaretto, che accolse i malati di peste nel 1630, chi sostiene che
ospitava uno dei bordelli più malfamati di Torino ed era, dunque, molto mal frequentato. Tutt'intorno c'erano osterie di malaffare, in cui andavano a
ubriacarsi i più poveri tra operai e lavoratori dei mestieri più
umili, causando a volte prevedibili risse. All'inizio del Novecento,
il Ciabòt e i suoi dintorni erano in condizioni igieniche
disastrose, tanto che, secondo i testi dell'epoca, era difficile
immaginare situazione "più miserevole e ributtante in fatto di
abitazioni". La sua demolizione non causò
nessun rimpianto.
Il Ciabòt si trovava nella zona di quella che
oggi è piazza Crispi. La la sua demolizione liberò una vasta area,
facilitando l'installazione delle fabbriche industriali che poi
arrivarono e la costruzione delle prime case popolari di Torino.
Queste ultime furono costruite nel 1908 dall'Istituto Autonomo Case
Popolari e si possono ancora vedere, nell'isolato compreso tra le vie
Cuneo, Schio, Pinerolo e Damiano. Per la loro realizzazione vennero
espropriati numerosi edifici della borgata. Alla progettazione
di questo complesso di case popolari partecipò anche Pietro
Fenoglio, l'autore delle più importanti architetture liberty di
Torino (sue Villa Scott e villa Fenoglio). Le influenze liberty si
notano nelle decorazioni delle facciate, nei disegni delle ringhiere,
nelle scelte architettoniche che sottolineano i vani scala. Gli
edifici sorgono sui tre lati dell'isolato, il quarto lato, su via
Pinerolo, dà accesso ai due cortili, formati dalla presenza,
all'interno dell'isolato, e paralleli ai lati lunghi, di altri due
edifici.
Davanti alle case popolari si trovano i resti di quello
che fu uno dei più importanti complessi industriali della Torino del
Novecento, la Fiat Grandi Motori, anch'essa con facciate che
ricordano lo stile liberty. Prima della Fiat Grandi Motori c'erano le
Officine Meccaniche Michele Ansaldi, fondate nel 1884; nel 1905, poco
prima della costruzione delle case popolari, Ansaldi raggiunse un
accordo con la Fiat e iniziò a produrre piccole vetture; negli anni
'20 la fabbrica fu ampliata e divenne la Fiat Grandi Motori, che nei
suoi momenti di massimo splendore arrivò a impiegare 5000 persone.
E, tra dignitose case popolari e resti di architetture industriali,
viene facile immaginarsi la Torino descritta da Gipo Farassino, nato
a pochi passi da qui (in Via Cuneo 6, come ricorda una delle sue
canzoni più famose), ne
La mia città:
Un mare di fredde ciminiere,
un fiume di soldatini blu, un cielo scordato dalle fiabe, un sole che
non ti scalda mai. Questa mia città ti fa sentir nessuno, ti strozza
il canto in gola, ti spinge ad andar via. Questa mia città che
spegne le risate, che sfugge a tanta gente, resta la mia città.
Una
Torino che è stata, che molti dei nostri padri ricorderanno e che,
da qualche tempo, non è più così.
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