Piazza XVIII dicembre è probabilmente una delle piazze più
frequentate di Torino: vi si affacciano Porta Susa, numerosi
capolinea delle linee urbane di autobus e ci sono un paio di fermate
di autobus e tram molto frequentate, grazie ala vicinanza di Porta
Susa e della linea metropolitana. Ma quanti sanno perché la piazza è
intitolata a questa data? Cosa è successo il 18 dicembre di un anno
non specificato?
Io, lo ammetto, l'ho scoperto pochi giorni fa,
in tempo, meno male, per ricordare le vittime della strage fascista
del 18 dicembre 1922. 82 anni fa a oggi, era passato solo un mese e
mezzo dalla Marcia su Roma, con cui Benito Mussolini ottenne la
Presidenza del Governo. La conquista del potere rafforzò la presenza
delle squadre fasciste sul territorio e la loro violenza verso
operai, lavoratori e piccolo borghesi che simpatizzavano per
comunismo e socialismo. A Torino, il 17 dicembre 1922, il giovane
tramviere comunista Francesco Prato, fu vittima di un agguato
fascista, in via Nizza, mentre, finito il turno, stava andando a
trovare la fidanzata; il giovane, armato, rispose all'attacco e
uccise due squadristi, Giuseppe Dresda e Lucio Bazzani. Il giorno
successivo, in previsione di possibili ritorsioni fasciste, Prato venne
fatto espatriare. Ma non fu sufficiente.
Durante lo stesso
giorno, con la notizia dell'uccisione di Dresda e Bazzani riportata
da quotidiani, numerosi fascisti arrivarono a Torino e fu messa in
atto la terribile vendetta squadrista. In mattinata, un gruppo di
camicie nere fece irruzione nella Camera del Lavoro di corso
Siccardi, dove identificò i presenti e bastonò il deputato
socialista Vincenzo Pagella ed il segretario della Federazione dei
metalmeccanici, Pietro Ferrero. Quindi, nel pomeriggio, iniziò a
uccidere sindacalisti, operai e personalità in vista
dell'opposizione. Il Segretario del Sindacato dei Ferrovieri, e
consigliere comunale comunista, Carlo Berruti fu prelevato dal suo
ufficio delle ferrovie e portato in auto a Nichelino, dove viene
trucidato; dell'assassinio furono testimoni alcuni operai, che
stavano lavorando nella vicina ferrovia: "I fascisti erano tre o
quattro. Scesero spingendo avanti uno, lo fecero andare per un
sentiero e lui camminò tranquillo senza voltarsi […] gli spararono
tre o quattro colpi nella schiena" riporta il sito web
ita.anarchopedia.org, che ricostruisce la strage.
Nell'irruzione di alcuni
squadristi in un'osteria di via Nizza, vennero uccisi il gestore, il
socialista Leone Mazzola, che aveva osato protestare per le
perquisizioni ai suoi clienti, e, poco dopo, Giovanni Massaro, fuggito
subito dopo l'irruzione e ammazzato, probabilmente, solo perché
indossava una tuta da operaio ed era scappato (non era noto per avere
simpatie politiche e pare avesse problemi psichici). Il tramviere
socialista Matteo Chiolero venne ucciso sulla porta di casa, aperta
ai suoi assassini, davanti alla moglie e alla figlia. La morte di
Andrea Ghiomo fu terribile e dovuta a un'ulteriore vendetta: era
stato accusato dell'omicidio del fascista Dario Pini e poi assolto
durante regolare processo; la sentenza non doveva essere piaciuta ai
fascisti, che approfittarono del clima del 18 dicembre per
prelevarlo, pestarlo a sangue, trascinarlo per i capelli; Andrea
riuscì in qualche modo a fuggire ai suoi aguzzini, ma venne
raggiunto da una revolverata e lasciato morire in strada. Morte
atroce anche per Pietro Ferrero, che in mattinata era stato bastonato
alla Camera del Lavoro; tornato davanti alla Camera del Lavoro in
serata, venne riconosciuto e pestato a sangue, poi, verso mezzanotte,
fu legato per una caviglia a un camion e trascinato fino al monumento
di corso Vittorio Emanuele II, dove quello che restava del suo corpo
fu ulteriormente oltraggiato.
Erminio Andreone e Matteo Tarizzo
vennero prelevati in piena notte dalle loro case e quindi portati in
aperta campagna, per essere uccisi, Erminio con un colpo di pistola,
Matteo a bastonate.
Il giorno dopo, il 19 dicembre, Angelo
Quintagliè fu ucciso da alcuni squadristi per aver espresso un certo
dispiacere per la morte di Carlo Berruti. Terribile il destino di
Cesare Pochettino e Cesare Zurletti: erano cognati e lavoravano
insieme nella bottega di Zurletti, il primo non aveva alcun interesse
per la politica, il secondo era di simpatie fasciste; furono
prelevati dalla bottega e portati in collina, su un precipizio,
Pochettino morì sul colpo, precipitando agli spari dei fascisti,
Zurletti cadde e si finse morto, salvandosi; la dimostrazione della
disumanità in cui era precipitata l'Italia è che i due furono
denunciati falsamente come comunisti da loro nemici personali.
Evasio Becchio ed Ernesto Arnaud vennero prelevati da un'osteria
e portati in campagna, dove furono fucilati, Becchio morì, Arnaud
riuscì a sopravvivere.
A questi morti e feriti accertati bisogna
aggiungere quelli che non furono denunciati per paura di rappresaglie
ulteriori. La strage di Torino del 18-19-20 dicembre 1922 fu
efferata, fu uno dei primi esempi della violenza fascista al potere,
fu ragione di vanto per gli esponenti fascisti più in vista. Basti
pensare a quello che disse il suo ideatore, Pietro Brandimarte: "I
nostri morti non si piangono, si vendicano. (...) Noi possediamo
l'elenco di oltre 3000 nomi di sovversivi. Tra questi ne abbiamo
scelti 24 e i loro nomi li abbiamo affidati alle nostre migliori
squadre, perché facessero giustizia. E giustizia è stata fatta.
(...) (I cadaveri mancanti) saranno restituiti dal Po, seppure li
restituirà, oppure si troveranno nei fossi, nei burroni o nelle
macchie delle colline circostanti Torino". Fu ancora lui a sostenere
che il capo "del fascismo torinese è l'onorevole De Vecchi. Egli ci ha
telegrafato, come è noto, per condividere in pieno la responsabilità
della nostra azione". Subito dopo la strage, il Governo emanò un
decreto di amnistia per i reati di natura politica commessi "per un
fine, sia pure indirettamente, nazionale".
Fu solo dopo la guerra
che si cercò di dare giustizia alle vittime della strage del 18
dicembre: Brandimarte fu condannato a 26 anni di carcere, ma nel 1952
venne assolto per insufficienza di prove. E fu ancora dopo la guerra
che Torino decise di onorare la memoria dei caduti intitolando una
piazza al giorno della strage. All'angolo tra piazza XVIII dicembre e
via Cernaia c'è una lapide, con i nomi degli assassinati,
davanti alla quale ogni anno si celebra il loro ricordo. Alla strage
è dedicata anche la fermata della metropolitana sottostante la
piazza, intitolata anche lei al 18 dicembre.
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