Torino città di donne. Di duchesse volitive ed energiche, oltre
che di duchi guerrieri e astuti. Lo sostiene
in un bell'articolo Marco Romano, architetto
e professore di Estetica della città, che considera la costruzione
dell'immagine urbana di Torino opera più delle duchesse, quasi
sempre principesse francesi o infante spagnole, che dei loro
consorti. A loro si devono le piazze chiuse, i viali alberati, le
delizie appena fuori le mura cittadine.
Le duchesse arrivavano a
Torino giovanissime, quasi sempre scontente, perché, figlie del re
di Spagna o del re di Francia, si aspettavano di diventare almeno regine e si trovavano nella piccola capitale
di uno Stato montano, in equilibrio precario tra le
grandi potenze. Così, un po' per capriccio e un po' per nostalgia,
esigevano quanto avevano visto nelle loro capitali di nascita e
cambiavano il volto di Torino. La prima è stata Margherita di
Valois,
elegante e colta moglie di Emanuele Filiberto, che, arrivata
a Torino con il marito, si trovò una piccola città di provincia
tutta da reinventare (e ricordiamo cosa era
la Torino di Emanuele Filiberto).
Non più giovanissima, con un consorte impegnato a conservare il
Ducato e a rafforzare le difese della sua capitale, Margherita cercò di rendere comodo e regale il Palazzo
Ducale. E, superata la fase del
primum vivere, prese esempio dalla
cognata, Caterina de' Medici, che si era fatta costruire un proprio
palazzo in cui trasferire la propria corte, il palazzo delle
Tuileries, per esigere anche lei un palazzo tutto suo. Emanuele
Filiberto le regalò il Castello del Valentino, dove lei praticamente
si trasferì.
A
Emanuele Filiberto successe il figlio Carlo Emanuele I, che sposò
l'Infanta Caterina di Spagna. E con lei arrivò a Torino la prima
delle duchesse che si sarebbero aspettate ben altro destino per i
loro nobili natali. Importò in Piemonte i gusti spagnoli e, in
particolare, l'abitudine delle passeggiate in carrozza per le
signore, affiancate dai giovanotti a cavallo, in strade alberate. "E'
la moda che viene dall'Alameda de Hercules di Siviglia, tracciata nel
1574 quasi a simbolo delle colonne d'Ercole, dal successivo Paseo de
la Alameda a Valencia, e a Madrid, quando Caterina era principessa,
dal prado de San Geronimo" spiega Romano. Torino si adattò alle
esigenze della nuova duchessa creando un viale, che dalla Porta Nuova
portava al Castello del Valentino, la cosiddetta
Allea Oscura, la
passeggiata buia, grazie alla presenza degli alberi dalle alte
chiome. Un viale che avrebbe segnato a lungo l'immagine dell'area:
insieme all'attuale corso Marconi e a un altro viale diagonale andato
perduto, formava una sorta di tridente, che aveva nel Castello del
Valentino il punto d'incontro.
La capricciosa Caterina, però,
non si accontentò di un semplice viale per passeggiare, volle anche
un Castello tutto per sé. Così Carlo Emanuele le regalò la
residenza di Miraflores, che prese nome spagnolo in suo onore (in
questo link potete leggere della
precaria esistenza di questo castello bello e sfortunato) e che si raggiungeva con un lungo viale,
dalla Porta Nuova.
Sono poi le due Madame
Reali, Cristina prima e Giovanna Battista poco dopo, che danno a
Torino l'immagine barocca di architetture uniformi e piazze chiuse,
che oggi la identifica e che è nel cuore dei torinesi. In realtà è
Carlo Emanuele I a imporre un'architettura uniforme, ispirandosi non
solo all'idea rinascimentale di decorazioni di facciate accessibili a tutti i patrimoni, ma anche al fatto, più
terra terra, che il Palazzo Ducale non avesse una facciata sontuosa e,
dunque, nessun palazzo aristocratico dovesse superarlo per eleganza e
solennità. Imposta l'uniformità delle architetture, è Cristina di
Francia che, rifacendosi a Parigi, vuole una
place
royale,
come quella costruita a Parigi dal fratello Luigi XIII e crea così
una sequenza che non ha uguali in nessun'altra capitale europea: "La sequenza di due piazze monumentali e di una strada monumentale a
legarle: ora la piazza monumentale non è più un tema inserito come
una gemma nel tessuto delle strade cittadine non tematizzate ma
suggerisce che un settore della città possa venire pensato come la
successione continua di vere e proprie sale di rappresentanza in un
palazzo, esaltata dal suo seguito nelle passeggiate del Valentino e
nella strada per il castello di Miraflores, quasi il loro giardino".
Il successo del primo ampliamento spinse Cristina a volere una nuova
strada monumentale verso il Po, chiusa dalla vista di Villa della
Regina. Dopo di lei, questa visione di Torino sarà proseguita da
Giovanna Battista di Savoia Nemours, la seconda Madama Reale; anche lei
parigina, anche lei arrivata giovanissima in Piemonte, anche lei
vedova e a lungo reggente del Ducato nel nome del figlio, Vittorio Amedeo II, sarà l'artefice di piazza Carlina. Il destino della piazza non è stato quello immaginato dai suoi autori: l'attuale va Santa Teresa nasceva nei pressi della Cittadella, sfiorava la
place Royale
(attuale piazza San Carlo), si
apriva in piazza Carlina, immaginata dapprima ottagonale, "con
palazzi di tre piani come place Louis le Grand, la place Vendôme di
oggi" e quindi disegnata quadrangolare, come si vede oggi, e
terminava verso il Po.
Finita l'epoca delle Madame Reali,
l'immagine della città non fu più nelle mani delle sovrane, ma
tornò in quelle degli uomini, ma "il principio che la città
debba essere la successione di graziosi salotti aperti sul giardino e
su una campagna scandita dai viali alberati, è ora inscritto nel suo
DNA: se mai esiste una città che sia l'esito di un pervasivo spirito
femminile questa è Torino, e reciprocamente Torino è lo specchio
della grazia che potremmo aspettarci dalle quote rosa". Torino
città immaginata dalle donne, una bella chiave di lettura.
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