La
presentazione delle
Merende Reali, che dal
7 marzo 2015 si potranno
gustare
tutti i weekend, in alcuni
caffè storici e nelle caffetterie di
alcune
residenze sabaude (qui
tutti i dettagli!), è stata una
vera
miniera di informazioni e curiosità sulla Torino che fu. Per
esempio, lo sapevate che Torino aveva uno dei
Carnevali più festosi
e più fastosi d'Italia? Come adesso a Venezia, arrivavano persino i
viaggiatori per poter godere delle sue feste e del divertimento nelle
strade torinesi. Nei rapporti degli
ambasciatori veneti, che sono i perfetti
informatori dello stile di vita nelle corti europee, come dei Saint
Simon
ante litteram (e anche post), c'era spesso molta meraviglia per quanto i torinesi e i
loro sovrani
amassero ballare e amassero le feste. Barbara Ronchi
della Rocca, che ha presentato le Merende Reali, ha raccontato, seduta al tavolo, tra un pasticcino
e l'altro, che la fama antipatizzante dei Savoia è
del tutto
ingiustificata: a Torino giravano spesso
senza scorta, perché erano
così popolari che nessuno avrebbe fatto loro del male; e quando la
capitale è stata trasferita a Roma, la
regina Margherita aveva messo in
piedi
una delle corti più apprezzate d'Europa, molto frequentata dal
Kaiser Guglielmo, che ne amava cucina ed eleganza. Cose perdute nella memoria, perché,
utilizzando la complicità con il fascismo di un solo re, Vittorio
Emanuele III, si sono voluti cancellare
il ricordo e la popolarità di una
dinastia millenaria.
Ma torniamo al
Carnevale. Anche a Torino
sfilavano i carri, da cui venivano lanciati
dolcetti e caramelle ai
bambini e alla folla in festa. Però c'era un problema: se i confetti
e le caramelle finivano a terra
si ammaccavano, si danneggiavano e,
soprattutto, nessuno osava più raccoglierli per portarli alla bocca.
Così si inventò
un dolcetto più pratico e altrettanto 'povero': si
presero le
nocciole dolci del Piemonte, si immersero nella
cioccolata, per ricoprirle con un velo sottile, e quindi
in granelli
coloratissimi di zucchero. Per assicurare che potessero essere
raccolte da terra, furono avvolte in
carta colorata, come caramelle.
Così i cri-cri fecero la loro prima apparizione nell'immaginario
torinese, legato, chi l'avrebbe detto,
al Carnevale e non al Natale,
come è oggi. Con il tempo i cri-cri si sono trasformati
da dolce
povero e cioccolatino sempre più sofisticato e caro: la nocciola del
Piemonte è diventata un prodotto prelibato e ricercato, la cioccolata è
diventata di qualità sempre migliore e alla fine il prezzo di quello
che era un dolce povero è decisamente aumentato. Quando io ero
piccola, i cri-cri avevano ancora
i granuli di zucchero coloratissimi
ed era sempre un'autentica sorpresa scartarli e mettersi in bocca tanto
colore. Poi la scoperta dei coloranti cancerogeni fece sì che molti
dolci perdessero il loro colore (anche le tic tac!) e rimanessero
anonimamente bianchi. Con il tempo la mia affezione per i cri-cri è
diminuita (ammetto di non essere dotata di grande golosità), ma la magia di vedere un
bambino che apre i suoi cri-cri è immutata e, davvero, per un torinese è
difficile immaginare Natale senza cri-cri.
Immutato è anche il
legame di Torino con i suoi cioccolatini più famosi, i
Gianduiotti.
Nacquero
nel 1852, grazie a
Michele Prochet, che inventò
una nuova
pasta di cioccolato, aggiungendo
le nocciole tonde delle Langhe al
cacao e allo
zucchero (leggenda vuole che l'abbia fatto per gli alti
costi raggiunti dal cacao: mescolandolo con le nocciole, la sua
quantità, diminuita, avrebbe abbattuto i costi finali);
nel 1865 la
Caffarel, a cui Prochet si era nel frattempo unito, iniziò la
produzione di
un nuovo cioccolatino, creato con il nuovo impasto. E
durante il Carnevale dello stesso anno, avvenne il battesimo del
fuoco:
il carro della Caffarel iniziò a distribuire il cioccolatino, durante la popolarissima sfilata in maschera.
L'incaricato della distribuzione era
Gianduja e così fu facile il
cambio del nome del cioccolatino, dall'originale
givo, a
gianduiotto.
La Caffarel per rivendicare la primogenitura dell'ormai celeberrimo
cioccolatino, un vero simbolo di Torino, lo scrive ben in chiaro
sulla carta dorata:
Gianduiotto 1865. Perché non ci siano dubbi.
Curioso come due dei dolci torinesi nati con
il Carnevale abbiano raggiunto
una tale popolarità da non avere più
alcun legame, neanche nell'immaginario collettivo, con il Carnevale.
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