Nella Torino del XIX secolo, uno dei salotti più ambiti
era quello della marchesa Giulia Falletti di Barolo. Nata Juliette
Colbert di Maulévrier in Francia, nel 1785,
profondamente colpita dalle conseguenze della Rivoluzione Francese,
che costrinse all'esilio la sua famiglia aristocratica, nel 1806
sposò il giovane Carlo Tancredi Falletti di Barolo. Nel 1814, la
coppia si trasferì a Torino, nel palazzo di famiglia del marchese,
discendente di una delle famiglie più antiche e ricche del Regno di
Sardegna.
A quei tempi il salotto dei Falletti di Barolo era già
uno dei più apprezzati della città. I salotti torinesi praticavano "le buone maniere, gli oggetti della conversazione restavano liberi
e senza limiti, l'incontro, il colloquio, il dibattito privato,
l'essere informati delle novità politiche e culturali, la
legittimazione che se ne traeva erano gli scopi principali del
rituale settimanale, gli ospiti divenivano via via più eterogenei
per provenienza, ceto, formazione, idee. Vi restiteva l'autorità
morale e la funzione aggregante della figura femminile, la padrona di
casa, sposata o vedova o separata, mai nubile, con alle spalle solide
basi culturali e una complessa educazione a svolgere tale ruolo. Al
salotto nobiliare l'aristocratico invitato partecipava di diritto, il
borghese per cooptazione, ma la funzione rimaneva la stessa del
salotto borghese, cioè di omologazione, di riconoscimento tra
simili, di incontro, di scambio culturale, di assimilazione della
borghesia attraverso i suoi rappresentanti intellettuali" si legge nel libro Milleottocentoquarantotto - Torino, l'Italia, l'Europa, edito dall'Archivio Storico della Città di Torino.
I marchesi
seppero inserirsi in queste dinamiche e il loro salotto divenne uno
dei più ambiti di Torino, date le frequentazioni eterogenee e le
brillanti conversazioni che ne conseguivano. Non possono esserci allo
stesso tavolo Cesare Balbo, Santorre di Santarosa, Joseph-Marie De
Maistre, Silvio Pellico, il giovane Camillo Benso di Cavour e avere come risultato a una serata noiosa. Anzi, essere stata una mosca e
aver potuto vedere una serata nel salotto della marchesa Giulia!
Vandeana convinta, di idee politiche profondamente monarchiche e
conservatrici, anche a causa dei lutti causati dalla Rivoluzione
nella sua famiglia d'origine, Giulia è ancora oggi ricordata a
Torino per la sua instancabile opera filantropica. Alla sua morte, per assicurarsi
che ci fosse un futuro per le sue opere caritatevoli, lasciò
l'immensa eredità all'Opera di Barolo, che ancora oggi si occupa di
numerosi progetti benefici, in città. Si diceva che a Palazzo
Barolo, curiosamente in via delle Orfane, salissero di giorno le
decine di mendicanti, per i quali la marchesa faceva preparare un
piatto caldo (forse il loro unico pasto della giornata), e di notte
gli intellettuali, i politici e i professionisti più prestigiosi del
Regno.
Riporta ancora Milleottocentoquarantotto - Torino, l'Italia, l'Europa, che la marchesa aveva "riconvertito" il
salotto laico e razionale, "con venature giacobine" del suocero
Ottavio, "al più rigoroso spirito della Restaurazione e
all'ostilità dell'evoluzione del Piemonte in senso liberale". Ma
questo non significa che la marchesa fosse intollerante al confronto.
Giovanni Lanza riporta anzi di un battibecco tra Giulia e il giovane, e già liberale, Camillo di Cavour. Siamo nel 1846 e a Palazzo ci sono riuniti i soliti
intellettuali: "Si prese a parlare delle idee di libertà che di
giorno in giorno guadagnavano favore e si diffondevano in Italia […]
Il Conte Cavour, allora, con l'ardore che vagheggia anco le
illusioni, entrò in discorso, pronosticando all'Italia gloriosi e
insperati successi; segnalando la rivoluzione quale unico mezzo
capace di secondare e di condurre a complimento le patrie
aspirazioni; proclamando che il Piemonte, se ne avesse avuto il
coraggio, era chiamato a conquistare, non che la libertà,
l'indipendenza e l'unità nazionale. Il parlare del Cavour suonò
temerario e chimerico all'orecchio degli uditori, che muti si
guardarono in viso. La Marchesa solo ruppe il silenzio con queste
parole: "In quanto a me, sono nata Vandeana e Vandeana morrò"."
Poco dopo, il Conte di Cavour smise di frequentare il salotto di
Giulia. Ma sembra, dal loro successivo carteggio, che la stima e l'amicizia rimasero inalterate: il
destino, in fondo, li aveva chiamati, in ruoli diversi, a lavorare a
un'altra idea di Torino e d'Italia.
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