Il
cioccolato arrivò a Torino
nel XVI secolo,
probabilmente per mano del duca
Emanuele Filiberto, che prese
possesso della sua capitale portando con sé il cacao apprezzato al
servizio di Felipe II. Di sicuro, l'
Infanta Catalina, figlia di
Felipe II, sposò
Carlo Emanuele I, il figlio di Emanuele Filiberto,
portando con sé
il cioccolato e la molina, una cameriera personale
addetta solo alla preparazione della cioccolata. Ed è ancora più certo
che, seppure importata dalla Spagna,
in pochi decenni Torino seppe
fare propria la cioccolata, inventandone
usi molteplici e diventando,
per questo,
punto di riferimento europeo. Il
primo cioccolatino, il
diablotto, nacque
a Torino: mai prima si era pensato a
un uso solido
della cioccolata, considerata fino ad allora una
bevanda. La
cioccolata solida era cosa del diavolo, per questo il curioso nome ai
primi cioccolatini.
La Torino del XVIII e XIX secolo ha fama di
città piccola, noiosa e provinciale, dominata da una
dinastia
militaresca e mediocre. E' una fama del tutto
errata e fuorviante.
Come può essere mediocre una dinastia che ha creato gioielli
architettonici come la
Palazzina di Caccia di Stupinigi o la
Reggia
di Venaria Reale e che, grazie al suo gusto
per la cultura e per il
collezionismo, ha raccolto le collezioni da cui hanno preso vita i
principali Musei cittadini, a cominciare
dal Museo Egizio? Qualcosa
non ci è stato raccontato nel giusto modo e troppo, a Torino,
abbiamo dimenticato della nostra storia.
Nel XIX secolo Torino e
la sua corte erano considerate
punti di riferimento del gusto, in
buona parte dell'Europa. C'erano
molti caffè e pasticcerie, che i
torinesi frequentavano regolarmente, con
riti precisi e di grande
fascino. Per esempio, alla domenica,
dopo la Messa, a digiuno da
mezzanotte per poter fare la Comunione, si usava fare
la colazione al
bar. Il prediletto era il
bicerin, un bicchiere di caffè, cioccolata
e fior di latte, ancora oggi
apprezzatissimo dai torinesi e sempre
suggerito ai turisti. Nel
bicerin si intingevano
i bagnati, i dolci
da intingere nella bevanda, per fare colazione. Il
galateo dice che
mai, mai e poi mai bisogna intingere qualcosa in una bevanda, con
l'eccezione della cioccolata e del bicerin, per i quali sono stati
creati i cosiddetti bagnati, i dolci, cioè, che vanno bagnati
per
essere davvero assaporati. Viene inventata anche
una tazza apposita,
la
mancerina, che viene tenuta con la mano sinistra, per intingere i
bagnati con la mano destra (due tazze di questo tipo sono oggi
conservate nelle vetrine del caffè di
Palazzo Reale).
Il Settecento aveva particolarmente apprezzato i dolci
di dimensioni
mignon, perché era considerato di
cattivo gusto farsi vedere
masticare: i
confortini, i
pazientini, gli
anisini, i
canestrelli, i
savoiardi, che, inventati nel XIV secolo alla corte di Aimone di Savoia, sono i dolci più antichi d'Italia, i
baci di dama e il
diablottino erano
i prediletti delle merende del tempo; soprattutto a corte si faceva
largo uso della cioccolata e i cuochi di Palazzo inventavano dolci di gusti sempre più raffinati.
L'Ottocento riscopre i dolci più grandi. Si affermano
i
torcetti, provenienti dalle Valli di Lanzo; le principesse straniere
andate in spose ai futuri sovrani portano le proprie tradizioni, così
con Maria Adelaide d'Asburgo, moglie di Vittorio Emanuele II, arriva
il
croissant, che i pasticceri torinesi fanno proprio inventando il
chifel; si apprezzano anche il
bicciolano di Vercelli, caratterizzato
da spezie forti come il garofano e il coriandolo, il
parisien,
piccolo e friabile, la
brioss. Durante il Risorgimento, Giuseppe
Garibaldi ispira il
garibaldin, una deliziosa fetta di pane,
semplicemente imburrata; dall'Inghilterra arriva il Garibaldi, ispirato all'eroe italiano e costituito da un biscotto
arricchito di uvetta e confettura d'albicocche. Il Garibaldi sarà
debitamente importato a Torino e passerà ad arricchire il ricco
catalogo delle pasticcerie locali, mostrando
l'apertura della
capitale sabauda e la sua creatività. Una creatività di cui abbiamo perso anche la memoria: sapevate, per esempio, che il
turinois, uno dei dolci più cari alla
pasticceria francese, ha origini torinesi, come lo stesso nome sottolinea? Noi lo abbiamo perduto e dimenticato, i francesi continuano ad amarlo (
su marmiton.org, la ricetta, in francese).
Uno de dolcetti più
apprezzati dell'Ottocento è il
bacio di dama, che si dice fosse
l'unico che
Vittorio Emanuele II amasse davvero, i più maliziosi
dicono anche per il suo nome.
Il
bicerin veniva servito
fino alle
12 e di tanto in tanto persino
i membri della Famiglia Reale si
fermavano ad assaporarlo
in qualche bar di via Po, indisturbati: i
Savoia a Torino erano così rispettati che, di tanto in tanto,
potevano aggirarsi
sotto i portici senza scorta. Costava
15
centesimi, contro i
5 del caffè e i
25 della cioccolata. Per tutto
il XVII secolo, la cioccolata è stata
un lusso riservato
all'aristocrazia, dati i costi delle fave del cacao e la complessità
della preparazione: le case aristocratiche avevano
una cameriera
addetta esclusivamente alla cioccolata, come aveva insegnato
l'Infanta Catalina. E' stato nel XIX secolo che i prezzi della
bevanda e l'ascesa di una nuova classe,
la borghesia, hanno reso
possibile
la sua diffusione nei caffè. Il
bicerin aveva una variante
pur e fior, solo caffè e latte, e una
pur e barba, solo caffè e
cioccolato. Con
5 centesimi in più si poteva avere la stissa, cioè
un bricchetto con un po' d latte, caffè o cioccolata, per arricchire
il bicerin secondo i propri gusti. Il bagnato per accompagnare la
bevanda costava 5 centesimi.
I
bagnati dell'Ottocento, insieme alla
piccola pasticceria del Settecento, saranno tra
i protagonisti delle
Merende Reali, che dal 7 marzo, per tutti i
weekend dell'anno, si potranno gustare in vari caffè torinesi. Se ne
tornerà a parlare
molto presto, con tutti i dettagli, perché
saranno uno degli eventi del 2015 che torinesi e turisti non dovranno
perdere.
Davvero molto interessante! Che bell'approfondimento. Complimenti e grazie mille.
RispondiEliminaMarcello