Oggi l'Italia
compie 154 anni. A Torino il cielo è grigio ed esalta i colori della
facciata in mattoni di Palazzo Carignano, che fu sede del primo
Parlamento italiano, oggi nel percorso del Museo del
Risorgimento. Per celebrare questo anniversario, il testo del primo discorso di
Vittorio Emanuele II al Parlamento italiano, che lo ha appena
proclamato Re d'Italia. La retorica ottocentesca sprizza da molte
frasi e forse anche per questo leggere cosa disse il Re a quei
patrioti è ancora più emozionante. Buon compleanno, Italia! E
auguri a tutti noi italiani.
Signori Senatori! Signori
Deputati!
Libera ed unita quasi tutta, per mirabile aiuto della divina
Provvidenza, per la concorde volontà dei popoli, e per lo splendido
valore degli eserciti, l'Italia confida nella virtù e nella
sapienza vostra.
A voi si appartiene il darle istituti comuni e
stabile assetto. Nello attribuire le maggiori libertà amministrative
a popoli che ebbero consuetudini ed ordini diversi veglierete perché l'unità politica, sospiro di tanti secoli, non possa mai essere
menomata.
L'opinione delle genti civili ci è propizia; ci sono
propizi gli equi e liberali principii che vanno prevalendo nei
Consigli d'Europa. L'Italia diventerà per essa una guarentigia
di ordine e di pace, e ritornerà efficace stromento della civiltà
universale.
L'Imperatore
dei Francesi, mantenendo fermo la massima del non-intervento, a
noi sommamente benefica, stimò tuttavia di richiamare il suo
inviato. Se questo fatto ci fu cagione di rammarico, esso non alterò
i sentimenti della nostra gratitudine, nè la fiducia nel suo affetto
alla causa italiana.
La Francia e l'Italia,
che ebbero comune la stirpe, le tradizioni, il costume, strinsero sui
campi di Magenta e di Solferino un nodo che sarà indissolubile.
Il Governo ed il Popolo d'Inghilterra, patria antica della
libertà, affermarono altamente il nostro diritto ad essere arbitri
delle proprie sorti, e ci furono larghi di confortevoli uffici, dei
quali durerà imperitura la riconoscente memoria.
Salito sul trono di Prussia un leale ed illustre Principe, gli
mandai un ambasciatore a segno di onoranza verso di lui e di simpatia
verso la nobile Nazione germanica, la quale, io spero, verrà sempre più nella
persuasione che l'Italia costituita nella sua unità naturale non
può offendere i diritti né gli interessi delle altre nazioni.
Signori Senatori! Signori Deputati!
Io son certo che vi farete solleciti a fornire al mio Governo i
modi di compiere gli armamenti di terra e di mare. Così il regno
d'Italia, posto in condizione di non temere offese, troverà più
facilmente nella coscienza delle proprie forze la ragione
dell'opportuna prudenza.
Altra volta la mia parola suonò ardimentosa, essendo savio così
lo osare a tempo, come lo attendere a tempo. Devoto all'Italia, non
ho mai esitato a porre a cimento la vita e la corona; ma nissuno ha
il diritto di cimentare la vita e le sorti di una Nazione.
Dopo molte e segnalate vittorie, l'Esercito italiano, crescente
ogni giorno in fama, conseguiva nuovo titolo di gloria espugnando una
fortezza delle più formidabili. Mi consolo nel pensiero che là si
chiudeva per sempre la serie dolorosa dei nostri conflitti civili.
L'armata navale ha dimostrato nelle acque di Ancona e di Gaeta
che rivivono in Italia i marinari di Pisa, di Genova e di Venezia.
Una valente gioventù, condotta da un Capitano
che riempì del suo nome le più lontane contrade, fece manifesto che
nè la servitù, nè le lunghe sventure valsero a snervare la fibra
dei popoli italiani.
Questi fatti hanno inspirato alla
Nazione una grande confidenza nei proprii destini. Mi compiaccio di
manifestare al primo Parlamento d'Italia la gioia che ne sente il
mio animo di Re e di Soldato.
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