La
prima cosa che noi torinesi impariamo sulla chiesa di San Filippo
Neri è che la chiesa più grande della città, grazie ai suoi 67
metri di lunghezza per 37 di larghezza. Fate la prova: non ci sarà
torinese che non vi citerà il dato. E' anche una delle chiese più
amate del centro di Torino, posta in posizione strategica, in via
Maria Vittoria 4, a pochi passi da piazza San Carlo, accanto al Museo
Egizio. E proprio per questa posizione, adiacente alla più
importante attrazione turistica torinese, dovrebbe essere inserita
negli itinerari di chi visita Torino.
E quando entrate in questa
chiesa a navata unica, con magnifica volta a botte
illuminata da grandi finestroni a conchiglia, respirate davvero lo
spazio e l'immensità, che, però, non tolgono il fiato, ma, anzi, alleviano e danno un senso di pace.
Il progetto della chiesa è piuttosto antico, risale al XVII secolo, quando il duca Carlo Emanuele II donò l'isolato, inserito nel secondo ampliamento cittadino, alla Congregazione di San Filippo Neri. La costruzione del tempio fu affidata all'architetto Antonio Bettini, che aveva previsto una lunga navata con cupola centrale; a interrompere il cantiere, arrivò il celebre assedio del 1706, che causò danni irreversibili alle coperture, con crollo della cupola compreso. La ricostruzione fu affidata a Filippo Juvarra, appena arrivato nella capitale, invitato dal nuovo Re di Sicilia Vittorio Amedeo II. Visti i danni al progetto di Bettini, il grande siciliano decise di tagliare la testa al toro e di coprire l'edificio con una grandiosa volta a botte, più semplice da gestire. Dalla volta si aprono le sette finestre a forma di conchiglia che illuminano il tempio, dall'alto. La luce piove dolcemente su questo spazio enorme, su cui si affacciano tre cappelle per lato, di forma ellittica e con copertura a botte, dotate anch'esse di finestre; sono scandite dall'ordine corinzio, che raccorda gli spazi costruiti da Bettini a quelli juvarriani.
Il
progetto della chiesa non fu terminato da Juvarra, che nel 1738
lasciò Torino per raggiungere Madrid e costruire il Palazzo Reale.
Il cantiere fu affidato a Luigi Barberis e, quindi, a Giuseppe Maria
Talucchi, autore della maestosa facciata neoclassica, impossibile da
fotografare se non si è dotati di grandangolo, essendo sulla stretta via Maria Vittoria (ma anche per questo le sue proporzioni risultano
ancora più grandiose). C'è una sorta di contrasto, in questa chiesa
dall'aspetto maestoso e neoclassico all'esterno, capace di richiamare
l'olimpica serenità di Roma e delle sue proporzioni, e poi enorme,
barocca e, incredibilmente, quasi spoglia all'interno, con una decorazione affidata al
rigore e all'eleganza dell'ordine corinzio, ai discreti cromatismi dei
marmi e alla discesa della luce sulle pareti. Lo sguardo viene
catturato dall'altare, barocco, con le sue sei colonne tortili
corinzie, che sostengono una trabeazione in cui spiccano le statue
della Fede, della Speranza e della Carità. Ma sono la luce, che cambia con il passare delle ore, e i grandi spazi, a dare l'idea che la nostra condizione limitata e umana possa trovare conforto nell'eternità e nell'immensità di Dio.
Commenti
Posta un commento