Non c'è nessuna Carmen, sigaraia bellissima e fatale, a mantenere
eterno il ricordo delle tabacchine, le operaie della Manifattura
Tabacchi di Torino. Eppure, come quella di Siviglia, anche la
Manifattura Tabacchi torinese è stata una vera e propria potenza
economica cittadina (c'è stato un momento, all'inizio del XX secolo,
in cui è stata la più importante realtà industriale torinese, con
oltre 2500 dipendenti, ben più di quanti ne avesse la Fiat, nello
stesso periodo) e, curiosamente, come la Manifattura Tabacchi
sivigliana, anche quella di Torino ha concluso il proprio destino
come sede universitaria (se volete scoprirla, è in corso Regio Parco 142).
Ma iniziamo la storia dal principio e
torniamo al XVI secolo, quando il duca Emanuele Filiberto decise di
acquistare alcuni terreni nell'area a nord delle mura, laddove la
Dora sbocca nel Po. Qui lui e suo figlio Carlo Emanuele
costruirono un palazzo destinato al loro svago, una delle prime
delizie sabaude sorte intorno a Torino. Le
cronache dell'epoca raccontano un complesso sontuoso, caratterizzato
da scaloni, portici e colonne, con affreschi del Moncalvo e
tutt'intorno un grande territorio di caccia, per l'attività
prediletta dai Duchi di Savoia (leggenda vuole che la magnificenza
del parco e dei giardini di questa delizia perduta abbia ispirato i
giardini di Armida, descritti da Torquato Tasso nella Gerusalemme
Liberata). Il Palazzo del Viboccone, questo il suo nome, venne
duramente danneggiato durante l'assedio del 1706 e presto
abbandonato, essendosi spostata l'attenzione dei Re di Sardegna verso
Venaria e Stupinigi. Ma nel 1758 Carlo Emanuele III decise di dare
una nuova opportunità ai ruderi abbandonati e chiese all'architetto
Benedetto Feroggio di progettare un complesso industriale, da
destinare alla produzione del tabacco, nuova passione importata dalle
Americhe.
Il progetto di Carlo Emanuele III aveva un duplice
scopo: da una parte dava nuova vita a un'area al di fuori delle mura
che rischiava il degrado, dall'altra garantiva le entrate
provenienti dai generi di monopolio come il tabacco. E mai decisione
ducale fu più azzeccata, visto lo sviluppo che la Manifattura
Tabacchi ebbe nella storia di Torino. Ferrogio si ispirò alle grandi
Manifatture Tabacchi francesi e costruì un complesso articolato
intorno a due cortili e dotato di laboratori e macine, di piantagioni
e semenzaio; c'era anche la chiesetta del Beato Amedeo, dove gli
operai assistevano alle funzioni religiose. Grazie alle sue
caratteristiche, il complesso fu in grado di seguire tutte le fasi
della produzione del tabacco, dalla tritatura e pestaggio delle
foglie, fino al macinato da fumo o la polverina da fiuto. "Nel
perimetro della fabbrica era inoltre situata una cartiera che per
decenni fu l'unica in Torino a godere del privilegio di produrre
carte da gioco e carte valori da bollo e in filigrana. Nel corso del
tempo, a fianco della fabbrica, vennero edificate la scuole materna e
quella elementare (ancora oggi attive) e successivamente la mensa e
il dopolavoro per i dipendenti, con un cinema e una sala da biliardo”"scrive Paola Fiorentini in 101 cose da fare a Torino almeno una volta
nella vita.
La Manifattura Tabacchi divenne sempre più importante
per l'economia cittadina, con due sedi, una nell'attuale via Verdi e
l'altra a Regio Parco; nel 1855, tutte le lavorazioni vennero
spostate a Regio Parco, approfittando della "quantità di energia
motrice disponibile, anche in previsione di futuri incrementi
produttivi". Per questo spostamento, il complesso venne
ampiamente ristrutturato, con la copertura di uno dei cortili e
l'ampliamento dei depositi. Ci fu poi un'ultima ristrutturazione,
all'inizio del XX secolo, quando la Manifattura venne dotata anche di
officine e falegnamerie meccaniche, mense, un raccordo ferroviario
per l'ingresso dei vagoni dallo scalo merci di Torino Vanchiglia,
locali per lo svago e un
asilo nido. La Manifattura, insomma, era un vero e proprio mondo a sé,
una realtà economica di grandi proporzioni e con una manodopera
largamente femminile. Il perché tante donne lavorassero in fabbrica
si spiega anche con la particolare struttura della Manifattura e del
borgo che le era sorto intorno. Le madri potevano lasciare i loro
bambini all'asilo nido e, dopo, all'Asilo Umberto I, così, sicure che
i propri figli fossero assistiti, avevano più motivazioni per
entrare nel mondo del lavoro: la Manifattura e il borgo Regio Parco,
insomma, erano una sorta di testimonianza ante-litteram
dell'importanza di un sistema di welfare per l'emancipazione
femminile.
Erano loro, le tabacchine, a produrre i sigari, il
bene più pregiato che usciva dalla Manifattura. "L'elevata
qualificazione professionale e la consapevolezza di svolgere un lavoro
frutto di tirocinio e di abilità rese le tabacchine e le sigaraie un
gruppo compatto e omogeneo, legato da forti vincoli di solidarietà e
caratterizzato da una spiccata coscienza sindacale. Saranno infatti
parte attiva degli scioperi dei primi anni del secolo per migliori
salari e per la riduzione dell'orario di lavoro e durante la seconda
guerra mondiale parteciperanno alla lotta antifascista" scrive
ancora Fiorentini nel suo libro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il
consumo di sigari e di polvere da fiuto decadde e la produzione delle
sigarette non fu sufficiente a salvare la gloriosa Manifattura
torinese. Chiusa nel 1996, è stata trasformata in uno dei centri di
quello che sarà il quartiere universitario, progettato tra il Campus
Luigi Einaudi, Vanchiglia e, per l'appunto, l'ex Manifattura
Tabacchi. Ma questo è un altro progetto torinese da raccontare. Rimane il rimpianto che non ci sia nessuna Carmen torinese
a ricordare il lavoro duro e silenzioso di migliaia di donne, che per
secoli animarono la fabbrica di Regio Parco.
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