Ci sono edifici sfortunati che,
nonostante le loro grandi architetture, non trovano una vocazione
definita e rimangono lì, vittime del tempo, a testimoniare quanto
sia importante avere una progettazione di città, quando si
costruiscono edifici di grandi suggestioni. Il Palazzo del Lavoro di
Torino è probabilmente l'edificio più sfortunato di tutta la città.
In un ideale itinerario nell'architettura moderna torinese
meriterebbe il posto d'onore, ma pochi giorni fa un incendio doloso
ha ricordato lo stato d'abbandono in cui versa, nonostante i numerosi
progetti che lo hanno riguardato.
Arrivando dal Sud, da corso
Unità d'Italia, il Palazzo del Lavoro è il primo edificio torinese
che si incontra, lo seguono poi padiglioni e giardini di Italia 61, un
evento organizzato per il primo secolo dell'Unità d'Italia e che
cambiò il volto di Nizza Millefonti e delle rive del Po. All'esterno
si presenta come un grande parallelepipedo caratterizzato da
curtain-wall, cioè da una facciata continua che trasferisce il
proprio peso a pilastri e solai, e, soprattutto, da palette
frangisole mobili, che lo rendono inconfondibile. Ma è all'interno
che il genio di Pier Luigi Nervi ha dato il meglio di sé: l'edificio
è costruito sulla moltiplicazione di un modulo quadrato con il lato
di 40 metri, sorretto da un incredibile pilastro centrale, che
termina con una preziosa raggiera di travi. Il modulo è moltiplicato
per 16 volte: immaginatevi l'interno di quest'edificio enorme, alto
25 metri, ritmato da questi pilastri snelli e slanciati, che
terminano ognuno con una grande raggiera, con le pareti perimetrali
che filtrano la luce naturale, a sua volta gestibile attraverso le
palette frangisole. Oltre cinquant'anni dopo la sua costruzione, il
fascino di quest'interno rimane intatto e suggestivo come pochi.
Costruito per Italia 61, il Palazzo del Lavoro fu immaginato da
subito come un palazzo per grandi mostre e fiere. Questo, per lo
meno, doveva essere la sua destinazione dopo la manifestazione
dell'Unità d'Italia. Ma così non fu. Troppi, probabilmente, gli
edifici torinesi immaginati per mostre e fiere e, con il tempo, la
nascita di Lingotto Fiere, nella stessa area, ha impedito qualunque
uso dell'edificio in quel senso. Per qualche tempo ha ospitato anche
alcuni corsi universitari della Facoltà di Economia e poi è mano a
mano caduto in disuso, rimanendo, però, il primo saluto di Torino a
chi arriva dal sud. Mentre il degrado dell'edificio abbandonato
progrediva, i progetti tendevano a guardare più verso il settore
commerciale che quello cultural-museale-turistico. Qualche anno fa si
è parlato di un interesse di El Corte Inglés, la prima catena di
grandi magazzini spagnoli, che avrebbe voluto trasformarlo nel suo
primo grande store italiano, quindi è arrivato un gruppo olandese,
Foruminvest, che voleva trasformarlo in un centro commerciale tout
court e che è stato fermato dalla solita burocrazia, dai soliti
ricorsi e dalle solite polemiche di chi teme l'utilità di un altro
centro commerciale, a pochi passi dall'8 Gallery del Lingotto.
Nel
web, ci sono proposte d'uso
visionarie, che esaltano gli splendidi spazi interni. Qualsiasi
destinazione d'uso deve infatti sottolineare l'unicità dei pilastri
di cemento e lo splendido intrico di travi della copertura: se
venisse costruito un centro commerciale di vari piani, che
'nascondono' e fanno perdere il senso delle coperture, verrebbe
compiuto un delitto contro l'architettura e contro lo stesso Palazzo.
C'è chi immagina parchi di divertimento in stile tropicale, con
piscine e con i pilastri che sembrano come grandi palme; c'è chi
propone un Museo dell'Aviazione, che sarebbe anche un bell'omaggio
alla città dei primi voli italiani (l'aeroporto di Mirafiori, da cui
partirono i primi esperimenti era davvero a pochissima distanza dal
Palazzo del Lavoro); c'è chi vagheggia una sorta di Sony Center
berlinese, uno spazio d'incontro di cultura e tempo libero, con il
Parco di Italia 61 a fare le veci della Potsdamer Platz. Le
idee sono tante, i soldi sono meno. Rimane la speranza che l'ultimo
incendio metta in moto la città, per tutelare e reinventare uno
degli edifici più belli dell'architettura moderna italiana. Come
insegna Marguerite Yourcenar in Memorie di Adriano, la bellezza è
anche una responsabilità.