Anche gli algidi palazzi torinesi
nascondono storie di personaggi eccentrici, dimenticati nello
scorrere del tempo. Di Palazzo Barolo, per esempio, si tende a ricordare soprattutto la storia di Carlo Tancredi e Giulia Falletti di Barolo e della loro straordinaria
filantropia. Ma, un secolo prima della loro notevole avventura umana,
Palazzo Barolo apparteneva alla famiglia Provana, il cui ultimo
discendente maschio, per il ramo di Leinì, fu Giacinto Antonio Ottavio, signore di Druent e
di Leinì, conte di Altessano, Stroppiana e della Bastia, signore di
Villarboit, Susnengo, Monformoso, Cascine di San Marco.
Nato a
Torino nel 1652, il conte sviluppò la sua carriera militare durante
la reggenza della seconda Madama Reale, che governava il Ducato di
Savoia nel nome del giovanissimo Vittorio Amedeo II. Fu quindi primo
scudiere e gentiluomo di camera del Duca e seppe destreggiarsi con
una certa abilità negli intrighi dell'irrequieta corte di Maria
Giovanna Battista di Savoia-Nemours. Fino a quando decise di
partecipare al complotto preparato per estromettere la Madama Reale
dal trono e far governare finalmente Vittorio Amedeo II. Secondo le
tradizioni della dinastia, la Reggente avrebbe dovuto lasciare il
Governo del Ducato al figlio non appena questi avesse raggiunto la
maggiore età, ma, amante del potere, Giovanna Battista cercò di far
sposare il Duca con l'Infanta del Portogallo, in modo che si
trasferisse a Lisbona e lasciasse a lei il potere. Vittorio Amedeo si
oppose al progetto della madre con tutte le sue forze: leggenda vuole
che si fingesse malaticcio alla visita degli ambasciatori portoghesi,
in modo che questi spingessero il re lusitano ad annullare le nozze.
Fallito il tentativo portoghese, si cercò di sposare il giovane duca
ad Anna d'Orleans, nipote del re di Francia Luigi XIV. Di questo
tentativo approfittò il marchese di Pianezza, primo consigliere
della Reggente, per esautorarla e far salire sul trono Vittorio
Amedeo, in modo da mantenere anche su di lui la stessa influenza che
esercitava sulla madre. In un primo momento il Duca sembrò
interessato all'idea, ma poi decise di denunciare i congiurati, che
furono arrestati e imprigionati in vari castelli del Ducato. Il
signore di Druent, che aveva portato la proposta di Pianezza al Duca,
fu tenuto in prigione prima nel Castello di Nizza e quindi a Fossano.
Tornò a corte nel 1690, avendo di nuovo incarichi di grande
prestigio. Al suo ritorno nella capitale, decise di ingrandire il
palazzo già iniziato dal padre e ne affidò il progetto a Gian
Francesco Baroncelli, che disegnò il grandioso atrio con scalone che
lo caratterizza ancora oggi. In quegli anni decise di sposare la sua
unica figlia, Elena Matilde, a Gerolamo Gabriele Falletti dei signori
di Barolo. E questa è la parte più nota della parabola dell'ultimo
dei Provana. Alle nozze parteciparono anche Vittorio Amedeo II e sua
moglie Anna, che prestò alla sposa una preziosa collana di perle.
Leggenda (un'altra) vuole che durante la festa lo scalone centrale
crollasse, senza lasciare feriti, ma spaventando i presenti, che
furono salvati con mezzi di fortuna; sembra che nel trambusto la
sposa perdesse la collana della duchessa, ritrovata poi sotto le
macerie, qualche giorno dopo l'incidente. Nonostante il brutto
presagio, il matrimonio di Elena Matilde e Gerolamo fu felice,
allietato dalla nascita di tre figli. La tragedia sarebbe stata
causata dallo stesso signore di Druent, che dopo aver sposato la
figlia, continuò a vivere al di sopra delle proprie possibilità,
indebitandosi sia per la costruzione del suo palazzo che per la
passione per il gioco. Ci fu una terribile discussione tra Provana e
il genero, che terminò con l'imposizione ad Elena Matilde di
lasciare il marito e i figli e rimanere a Palazzo Provana, Gerolamo, deciso a
rompere i rapporti con il suocero, invano cercò di convincere la
moglie a tornare a casa con lui. Cosa era successo? Probabilmente, a
causa dei debiti, il signore di Druent non era più in grado di
pagare la dote della figlia nei tempi pattuiti e, secondo il costume
di allora, impose il ritorno di Elena Matilde a casa, nonostante il
matrimonio fosse felice e con tre bambini. La giovane obbedì, come
era consuetudine, ma, sempre più infelice, per la lontananza del
marito e dei figli, si gettò da una finestra del palazzo in cui era
sostanzialmente prigioniera, e morì, il 24 febbraio 1701, a soli 26
anni. Con lei il nome dei Provana cedeva il passo a quello dei suoi
eredi, i Falletti di Barolo.
La fine di Elena Matilde non riportò
la pace in famiglia, anzi, Gerolamo chiese il pagamento della dote
della moglie, causando la frattura definitiva tra le due famiglie.
Nel testamento Provana non solo ignorò il genero, estromettendolo di
fatto da ogni possibile pretesa ereditaria, ma lasciò i suoi beni
alla Congregazione della Dottrina Cristiana, limitando così anche i
diritti dei tre figli di Elena Matilde. Un uomo duro, autoritario, un
aristocratico del suo tempo, fiero del proprio nome e dei propri
privilegi, l'ultimo dei Provana. L'ultima leggenda che lo riguarda
vuole che abbia chiesto una sepoltura piuttosto curiosa: senza alcuna
pompa, doveva essere sepolto nella chiesa di Madonna di Campagna,
posto su una sedia portatile avvolta in un panno nero.
Nell'anniversario della sua morte, dovevano essere distribuiti pane,
minestra e denari a un numero di poveri pari agli anni della sua vita. Essendo morto il 17 agosto 1727, aveva vissuto 75 anni.