FLOReal d'autunno alla Palazzina di Stupinigi

 Nel weekend torna alla Palazzina di Caccia di Stupinigi FLOReal, che tanto successo aveva avuto nella prima edizione, nella stessa location. Nella tre giorni, dal 7 al 9 ottobre 2022, la mostra florovivaistica, con vivaisti provenienti da ogni parte d'Italia, sarà accompagnata da un ricco palinsesto culturale. Presentazioni di libri e conferenze, proiezioni di cortometraggi e documentari, performance teatrali, mostre, laboratori e un ampio spazio dedicato alla gastronomia, con un filo comune: la natura e la sostenibilità. La mostra propone colori e profumi dell'autunno, "dal fiore più amato, la rosa, agli agrumi siciliani, le orchidee dalla Lombardia, e ancora piante succulente e carnivore, orchidee, tillandsie, piante acquatiche e rampicanti, aromatiche e tropicali, oltre a diverse tipologie di bonsai. Piante da appartamento, da secco e da sole intenso, da ombra, fioriture annuali, bulbose e graminacee. Non mancheranno varietà più stagionali come le viole, i ciclam

Giovanni Virginio, l'uomo che importò le patate in Piemonte

Difficile immaginarsi una dieta senza patate, qui a Torino, a poca distanza dalle valli alpine, in cui le patate sono uno degli ingredienti essenziali di molti piatti. A dir la verità è anche difficile ricordare che la patata è un prodotto americano e che era del tutto sconosciuto a Romani, Longobardi e corti rinascimentali, per ovvie ragioni. Incredibilmente, l'introduzione del tubero in Piemonte non è stata cosa semplice e, anzi, nonostante l'America sia stata scoperta nel 1492 e la sua conquista sia iniziata nel XVII secolo, è solo nel XIX secolo che è entrato nella dieta piemontese. Perché?

La patata è stata a lungo oggetto di un pregiudizio religioso: nasceva sotto terra, per cui era più facile considerarla frutto del diavolo che di Dio; c'era anche chi lo considerava velenoso e chi vedeva una certa relazione tra il consumo delle foglie delle sue piante e la stregoneria. Così, mentre nel resto d'Europa la sua coltivazione si diffondeva e mentre in molti Paesi divenne ingrediente principale delle diete dei più poveri, dato il suo alto valore nutritivo (come dimenticare l'importanza della patata nell'Irlanda delle carestie o nella Germania più povera?), in Piemonte si faticava a considerarla un prodotto da mensa quotidiana.

Alla fine del XVIII secolo, le truppe napoleoniche portarono con sé anche le patate e i piemontesi non se ne innamorarono. Se ne interessò, però, il cuneese Giovanni Vincenzo Virgilio, studi in legge e una grande passione per l'agronomia. Nato nel 1752 da famiglia agiata, fu il primo a dedicarsi allo studio del tubero e a decidere che un frutto della terra dotato di tante proprietà nutritive non poteva passare inosservato sulle mense sabaude: la sua coltivazione si adattava a tutti i terreni, la sua crescita era rapida, le sue proprietà nutritive la rendevano efficace quanto il grano. Iniziò a coltivare patate in un piccolo campo di sua proprietà, investì la dote della moglie Maria Maddalena, figlia di un mercante di tessuti, nei suoi studi e raccontò i risultati delle sue ricerche nel Trattato della coltivazione delle patate o sia pomi di terra volgarmente detti tartiffle, pubblicato nel 1795.

Appassionato studioso, iniziò a girare per i più importanti mercati del Regno, per distribuire i semi delle patate e per vincere i pregiudizi contro il tubero che cresceva sottoterra e che si considerava diabolico o velenoso. Alle madamine che frequentavano i mercati consigliava ricette per cucinarle, alle dame della buona società regalava scatole preziose contenenti le sue patate. Insomma, non lasciò niente di intentato per diffondere la coltivazione e il consumo delle patate in Piemonte. E riuscì nel suo intento, ma vi lasciò la sua fortuna economica e mise in pericolo il suo matrimonio. Per sopravvivere fu costretto a trasferirsi a Zara, in Dalmazia, per insegnare Scienze Naturali in un liceo. Sarebbe tornato a Torino nel 1812, dove, prima Napoleone e poi i Savoia gli concessero una pensione. Negli ultimi anni, morta anche la moglie, visse in solitudine, nell'Ospedale Mauriziano, dove morì nel 1830, solo e senza riconoscimenti per il suo strenuo lavoro e per la sua imperitura passione.

Per ricordarlo, Torino gli ha dedicato una via del centro storico, una traversa di via Verdi.


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