Difficile immaginarsi una dieta senza
patate, qui a Torino, a poca distanza dalle valli alpine, in cui le
patate sono uno degli ingredienti essenziali di molti piatti. A dir
la verità è anche difficile ricordare che la patata è un prodotto
americano e che era del tutto sconosciuto a Romani, Longobardi e
corti rinascimentali, per ovvie ragioni. Incredibilmente,
l'introduzione del tubero in Piemonte non è stata cosa semplice e,
anzi, nonostante l'America sia stata scoperta nel 1492 e la sua
conquista sia iniziata nel XVII secolo, è solo nel XIX secolo che è
entrato nella dieta piemontese. Perché?
La patata è stata a
lungo oggetto di un pregiudizio religioso: nasceva sotto terra, per
cui era più facile considerarla frutto del diavolo che di Dio; c'era anche chi lo considerava velenoso e chi vedeva una certa relazione tra il consumo delle foglie delle sue piante e la stregoneria. Così,
mentre nel resto d'Europa la sua coltivazione si diffondeva e mentre
in molti Paesi divenne ingrediente principale delle diete dei più
poveri, dato il suo alto valore nutritivo (come dimenticare
l'importanza della patata nell'Irlanda delle carestie o nella
Germania più povera?), in Piemonte si faticava a considerarla un
prodotto da mensa quotidiana.
Alla fine del XVIII secolo, le
truppe napoleoniche portarono con sé anche le patate e i piemontesi
non se ne innamorarono. Se ne interessò, però, il cuneese Giovanni
Vincenzo Virgilio, studi in legge e una grande passione per
l'agronomia. Nato nel 1752 da famiglia agiata, fu il primo a
dedicarsi allo studio del tubero e a decidere che un frutto della
terra dotato di tante proprietà nutritive non poteva passare
inosservato sulle mense sabaude: la sua coltivazione si adattava a
tutti i terreni, la sua crescita era rapida, le sue proprietà
nutritive la rendevano efficace quanto il grano. Iniziò a coltivare
patate in un piccolo campo di sua proprietà, investì la dote della
moglie Maria Maddalena, figlia di un mercante di tessuti, nei suoi
studi e raccontò i risultati delle sue ricerche nel Trattato
della coltivazione delle patate o sia pomi di terra volgarmente detti
tartiffle, pubblicato nel 1795.
Appassionato
studioso, iniziò a girare per i più importanti mercati del Regno,
per distribuire i semi delle patate e per vincere i pregiudizi contro
il tubero che cresceva sottoterra e che si considerava diabolico o
velenoso. Alle madamine che frequentavano i mercati consigliava
ricette per cucinarle, alle dame della buona società regalava
scatole preziose contenenti le sue patate. Insomma, non lasciò
niente di intentato per diffondere la coltivazione e il consumo delle
patate in Piemonte. E riuscì nel suo intento, ma vi lasciò la sua
fortuna economica e mise in pericolo il suo matrimonio. Per
sopravvivere fu costretto a trasferirsi a Zara, in Dalmazia, per
insegnare Scienze Naturali in un liceo. Sarebbe tornato a Torino nel
1812, dove, prima Napoleone e poi i Savoia gli concessero una
pensione. Negli ultimi anni, morta anche la moglie, visse in
solitudine, nell'Ospedale Mauriziano, dove morì nel 1830, solo e
senza riconoscimenti per il suo strenuo lavoro e per la sua
imperitura passione.
Per ricordarlo, Torino gli ha dedicato una
via del centro storico, una traversa di via Verdi.
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