Nel 1673, Torino diede il via
all'
ampliamento verso il Po, il secondo, dopo quello compiuto verso
sud nella prima metà del secolo. Lo schema che si seguì fu simile a
quello del primo ampliamento: un
tracciato ortogonale, fedele
all'impianto romano, una
via principale, verso la nuova porta, e una
piazza aulica chiusa impostata sul modello della
place royale
francese. Verso sud si costruì la via Nuova, attuale via Roma, che si
apriva poi nella Piazza Reale, attuale Piazza San Carlo e che
terminava con la Porta Nuova, che dava accesso alla città da sud (e
che adesso, ormai scomparsa, rimane nel nome della più importante
stazione ferroviaria torinese). Il progetto per il secondo
ampliamento era a maglia ortogonale e aveva nell'attuale
via Maria
Vittoria la propria via principale, perché avrebbe dovuto collegare
la Cittadella al Po; la
place Royale doveva essere
piazza Carlo
Emanuele II, chiamata da subito
piazza Carlina. L'unico elemento
diverso, rispetto al primo ampliamento, è
quello che avrebbe poi
condizionato la storia del quartiere al di là dei progetti
dell'architetto Amedeo di Castellamonte: la via 'inclinata', rispetto
all'impianto romano, la
Contrada di Po, adesso via Po, che doveva
collegare piazza Castello, cioè la zona del potere, con
l'unico
ponte che all'epoca attraversava il fiume. Fu la realizzazione di
questa via che
ridimensionò le ambizioni di via Maria Teresa e che
contribuì a fa rivedere il progetto di piazza Carlo Emanuele II.
Amedeo di Castellamonte aveva concepito la piazza come
un
sontuoso ottagono, delineato da architetture omogenee e porticate,
che facevano da cornice a
una statua equestre di Carlo Emanuele II,
posto al centro. Una
magnifica piazza centrale di gusto francese e da
grande capitale europea, un'evidente esaltazione del potere assoluto
del Duca, su cui
convergevano tutte le linee e tutti gli sguardi e
che non venne mai realizzata. Perché?
Per questioni pratiche,
prima di tutto. L'inserimento di un ottagono in una maglia ortogonale
impediva di avere isolati regolari e le grandi famiglie
aristocratiche non erano interessate ad avere
scomodi isolati
trapezoidali su cui disegnare le residenze cittadine. Non piaceva
neanche l'idea di
un'esaltazione così grandiosa del potere assoluto
del Duca, in uno Stato che faticava a mantenersi indipendente, sullo
strategico territorio d'ingresso alla Pianura Padana dall'Europa
occidentale. E non piacque ai Gesuiti, che stavano cercando una sede
per la loro presenza in città.
Insomma, il progetto di una piazza
Carlina ottagonale
fu presto abbandonato e venne disegnata una
tradizionale piazza rettangolare, più consona alla maglia ortogonale
torinese, e si realizzò un grande spazio che
non ebbe mai
quell'omogeneità architettonica tipica della Torino barocca né ebbe
quella capacità d'attrazione che Castellamonte aveva vagheggiato. La
Contrada di Po, che conduceva direttamente al ponte sul fiume, aveva
catturato tutta l'attenzione: la sua eleganza barocca e i suoi
portici erano riusciti anche a esaltare
la sua vocazione commerciale.
Piazza Carlina, che pure ospita
importanti edifici patrizi, come il palazzo Roero di Guarene, perse
mano a mano di importanza e divenne addirittura sede del
mercato del
vino. Ancora oggi, con le sue architetture eterogenee, che arrivano
fino al XX secolo, sembra
non aver trovato una sua vocazione.
Chissà cosa sarebbe stato, se si fosse
imposto il progetto originario di Amedeo di Castellamonte.
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