Il
mio 25 aprile si è concluso nella serata del 27 aprile 2017, quando,
grazie al tour
Sotterranei in guerra. Torino dal 1938 al 1945 di
Somewhere, ho
visto i valori della Resistenza e della Liberazione negli
orrori che
Torino, come tante altre città italiane, ha vissuto durante la
Guerra. Devo fare una premessa del tutto personale: non leggo libri o
articoli né vedo film che abbiano la Seconda Guerra Mondiale,
l'Olocausto o la Resistenza come tema. Non perché neghi la loro
esistenza, al contrario, ma perché
mi fanno male l'orrore, la
crudeltà e la disumanità raggiunti in quegli anni. Per partecipare
a questo tour ho dovuto fare forza su me stessa, ma
ne è valsa
davvero la pena.
Ho visitato
tre rifugi antiaerei e ogni volta
che scendevo quelle scale pensavo ai
racconti dei nonni e dei
genitori e alle
guerre di oggi, alla Siria, all'Afghanistan, al
Congo, a tutti i posti in cui non sappiamo vivere in pace. Scendendo
giù, nelle profondità di Torino, pensavo a come
non abbiamo
imparato niente e riusciamo sempre a essere
strumenti di violenza e
di orrore.
Non vi racconterò l'itinerario studiato da Somewhere, ci sono
belle sorprese che
tali devono rimanere per chi deciderà di prendervi parte in futuro.
Vi posso però dire che si visitano
tre rifugi antiaerei, quello
del
Museo Diffuso della Resistenza, quello di
piazza Risorgimento e
quello sotto le
Carceri Nuove. Si scende
fino a 12-15 metri sotto
terra, con rampe di scale
lunghissime e spesso
strette, che terminano in lunghe gallerie
coperte da
volte a botte, più resistenti alle pressioni del terreno.
L'impatto
più duro è stato quello con il rifugio del Museo della
Resistenza: lungo le pareti della discesa, si leggono
indicazioni
dell'epoca, che invitano a
mantenere la calma, a non fermarsi
all'inizio del rifugio, per dare a tutti la possibilità di accedere,
a non preoccuparsi per il ricambio d'aria (e già uno pensa a come
dovevano sentirsi i nostri nonni, essendo già comprensibilmente
angosciati, al leggere simili avvisi); poi, si sente il
suono
simulato delle bombe sulla città, troppo in lontananza secondo un
visitatore del Museo, che quelle bombe le ha sentite davvero. Ma non
è comunque un bel sentire: essere là sotto,
con l'angoscia nel
cuore e sentire il rumore della distruzione che può lasciare senza
casa e anche senza una via d'uscita. Come facevano a resistere a
tanta impotenza e paura?
Il
rifugio di piazza Risorgimento è il
più ampio dei tre visitati, con
3 gallerie parallele, lunghe 40
metri e larghe 4, dotate di vari passaggi dall'una all'altra e
persino di bagni relativamente grandi; poteva ospitare
fino a 1000
persone e magari, nella tragedia di quei momenti, ne entravano di più;
per realizzarlo, ci volle
circa un anno e mezzo, si scavò nella
piazza, si costruirono le gallerie e si ricoprì tutto. Fu un lavoro
così preciso, che
se ne perse la memoria, fino alla costruzione del
garage sotterraneo, quando i più anziani iniziarono a ricordare che
da bambini si rifugiavano là sotto, durante i bombardamenti.
Era il
1995 e per curiosità, vista la loro insistenza, si fece un buco e si
finì in una delle gallerie. Una delle cose che impressionano, è
la
mancanza di memoria di Torino. In città c'erano
137 rifugi durante
la guerra, insufficienti per i circa 700mila abitanti, ma della
maggior parte
non abbiamo tracce, non li ricordiamo. "Alla fine
della guerra, la gestione dei rifugi antiaerei fu affidata alle
città, Torino li chiuse e perse le chiavi" mi ha detto la
guida, quando le ho chiesto come ha potuto dimenticare una città
così orgogliosamente anti-fascista come Torino, Medaglia d'Oro al
Valor Militare per la Resistenza. Di questo rifugio mi ha colpito
anche
il valore architettonico e la suggestione che potrebbero avere
spettacoli teatrali,
reading e incontri là sotto, a ricordare quello
che siamo stati.
Sotto le Nuove, le due gallerie ricordano che
in
tutti i Titanic ci sono cittadini di serie A e di serie B; il rifugio fu
voluto dagli ufficiali nazisti, che nelle carceri avevano uno dei loro
centri torinesi, fu costruito
frettolosamente a 15 metri di
profondità ed è dotato di una
copertura a ferro di cavallo, che lo
rendeva resistente alle bombe più potenti; conserva un
aspetto
provvisorio, a causa della terra battuta come pavimentazione e delle
pareti laterali formate da laterizi messi senza studiata perizia.
Teoricamente doveva proteggere tutti gli abitanti delle Nuove,
compresi i detenuti, ma non sempre era così: le sirene antiaeree
suonavano e c'erano pochi minuti per mettersi in salvo (l'Italia non
era dotata di radar e la contraerea reagiva quando vedeva arrivare
gli aerei, senza alcuna preparazione previa), i secondini pensavano
ovviamente
prima a se stessi e poi ai delinquenti. Per arrivarci, la
discesa più lunga e le rampe più strette: portavano al più
ingiusto dei rifugi,
se c'è una qualche giustizia in guerra.
Il
tour
dura 3 ore, ma non c'è stata nessuna stanchezza, anzi, alla fine ero ancora disponibile ad ascoltare
altre storie, nascoste in questa Torino sotterranea e sconosciuta: merito di
Pier Ciravegna, la guida che
ci ha accompagnato in questo lungo itinerario nella Torino più
profonda, per raccontarci
una città ferita, ma non domata, e che ci ha
parlato di deportazioni, bombardamenti e distruzioni, di ingiustizie,
dolore e fatica,
con passione e humanitas. Vorrei dire grazie anche a
Elena Astone, perché la sua presenza è stata
preziosa, come i brani di
Renzo Rossotti, che ci ha regalato; grazie ai
volontari che ci hanno
aperto i rifugi, perché tanta realtà
che
tiene viva la memoria della Resistenza e della Liberazione è
affidata al volontariato. E il grazie più grande a
Laura Audi, per
avermi invitato, perché i tour di Somewhere nella Torino notturna e
sotterranea sanno sempre raccontare
quello che siamo, anche se non lo
sappiamo. Grazie, Laura.
Sotterranei in guerra era nato come un
unicum, ma, visto il successo, mi ha appena annunciato Laura Audi, è stato inserito tra i tour di Somewhere, il
giovedì sera, alle
ore 21, per
28 euro a persona, da piazza Statuto angolo via Garibaldi;
info e prenotazioni su
www.somewhere.it.
I cartelli all'interno del rifugio del Museo della Resistenza sono delle riproduzioni in fotocopia prese da originali di un altro rifugio. Stessa cosa per le panche, che sono originali ma non di quella struttura.
RispondiEliminaAltra cosa, non è vero che i rifugi in Torino erano 137, ma molti di più...diverse centinaia in più.