La mia curiosità
per gli
orti alti è nata qualche anno fa, dopo aver visto il
documentario
Ortiloquiando, del documentarista torinese
Dario
Cicchero, su youtube (
ne avevo parlato molto tempo fa, in uno dei
primissimi post di Rotta su Torino, quando era ancora un'idea e non
un blog regolarmente aggiornato). Quando, grazie all'orto sui tetti
delle
Fonderie Ozenem, ho scoperto OrtiAlti, il bel progetto che
stanno portando avanti le architette
Elena Carmagnani ed
Emanuela Saporito, ho pensato che prima
o poi avrei dovuto parlare con loro: mi piace che uniscano
architettura e verde a
partecipazione e solidarietà, mi
piace che siano
due donne a lavorare duro per dare all'architettura
un
respiro innovativo nel modo di
ripensare le città e le loro aree
inutilizzate. E, dopo aver chiacchierato con loro, posso dire di aver
amato la loro passione, la loro idea di architettura e alcune
risposte non convenzionali che riconoscerete?
Elena Carmagnani ed Emanuela Saporito (sin) e Our secret garden (ds)
- Come nasce il
vostro interesse per il rapporto tra architettura e natura?
Elena:
"Nasce grazie a
Our secret garden, l'orto realizzato qui sopra, sui tetti
dello Studio 999, in cui lavoro. Quando abbiamo pensato che potevamo
creare uno spazio a verde sulla soletta di cemento del tetto piano,
ho fatto un corso da Legambiente e in un certo senso è stato
divertente: ero l'unica che aveva un tetto come area da trasformare
in orto, per cui c'è stato un po' di panico generale per le
problematiche da risolvere, tutte nuove e mai pensate prima. Di lì,
ho approfondito le mie conoscenze e mi sono appassionata, fino a
OrtiAlti"
Emanuela: "A me hanno sempre interessato i
processi di trasformazione urbana, in particolare le pratiche di
trasformazione partecipativa, in cui la comunità ha un ruolo
attivo. Non ho mai creduto all'architetto demiurgo che spiega come
abitare, ho sempre avuto un approccio più attento alle tematiche
socio-politiche, per cui ho approfondito gli anni 70, con i
loro modelli di auto-organizzazione e auto-costruzione nei processi
urbani, con l'architetto al servizio del fruitore finale, l'abitante.
Avendo questo approccio, è stato naturale interessarmi agli spazi
verdi, interpretandoli come luoghi di partecipazione e accoglienza;
rispetto agli altri luoghi, l'orto presenta anche la produzione, che
è occasione di socializzazione"
- La vostra esperienza
pilota è stato l'orto alto sui tetti delle Fonderie Ozanam. A più
di un anno dalla sua inaugurazione, passato perciò il tempo delle
emozioni, cosa avete amato di più di quell'esperienza?
Emanuela:
"Tutto quello che abbiamo imparato. È stato davvero
un'esperienza che ci ha arricchito professionalmente, perché ci ha
messo alla prova con le difficoltà amministrative, che possono
sembrare anche banali, ma come si registra un orto sui tetti, dato
che non esiste ancora la tipologia? È stato un lungo lavoro con i
funzionari del Comune, per arrivare a una definizione. Poi c'è stata
la piantumazione, l'ortoterapia per i giovani tossicodipendenti che
nell'orto hanno trovato un'occasione di riscatto, siamo riuscite a
coinvolgere due cooperative sociali. Abbiamo attivato così tante
progettualità diverse, attente alla partecipazione e al sociale, che
è la cosa che oggi mi è piaciuta di più".
Elena: "Mi
è piaciuto l'opportunità che rappresenta. È
stato un piccolo intervento, la creazione di un orto sui tetti, ma
intorno si sono mosse tante realtà, ci sono tanti tasselli che sono
andati al loro posto, dando notorietà a un edificio che nessuno
conosceva prima, dando opportunità ai ragazzi che vi lavorano adesso
e creando buone occasioni. Un piccolo intervento ha fatto tanto"
L'OrtoAlto di Le Fonderie di Ozanam
-
Se poteste scegliere, libere da vincoli di fattibilità e qualunque
difficoltà, dove vorreste vedere un OrtoAlto?
Elena: "Mi
piacerebbe su una scuola, non faccio nomi perché c'è l'imbarazzo
della scelta. Vorrei un orto coltivato dai bambini insieme agli
abitanti, pensando al nuovo modello di scuola civica che si apre al
quartiere"
Emanuela: "Sui tetti dei garage di Torino. So
che avrei dovuto citare qualche bel palazzo noto o magari il tetto
della Fiat Mirafiori, perché no?, ma penso a tutti quei quartieri
costruiti negli anni 60 e 70 con i box in bella vista: come sarebbe
più gradevole il panorama, per chi abita lì, se i box fossero
coperti da orti!"
- È difficile realizzare un OrtoAlto, sui
tetti di Torino? Ai torinesi non piacciono?
Elena: "Non è
questione di piacere, ci hanno contattato tante volte, perché molto
interessati: l'idea dell'orto sul tetto in sé piace e affascina. Il
problema sono gli ostacoli, che sono di due ordini, amministrativo ed
economico. La realizzazione di un orto sui tetti ha ovviamente i suoi
costi, per le impermeabilizzazioni, la terra, la sicurezza. E se si è
in un condominio bisogna passare attraverso le assemblee di condominio, dove in genere i progetti si arenano
causa mancata unanimità. Per i privati le cose sono più semplici"
-
Progetti futuri, dopo Ozanam e Or-TO, davanti a Eataly del Lingotto?
Elena: "Dopo l'Or-TO, c'è stato il vigne-TO: Eataly ha
saputo dare vivacità a un piazzale che prima nessuno considerava e
che adesso è diventato luogo di socializzazione; ci saranno altre
cose nei prossimi mesi, insistendo sulla stagionalità dei prodotti.
È appena partito l'orto di Leroy Merlin, a Torino Nord, che è stato
un progetto lungo ed emozionante, avendo coinvolto anche i residenti:
molte famiglie hanno realizzato il proprio orto prendendosene cura
sin dall'apporto della terra. Adesso c'è un progetto anche con
Carrefour, a Nichelino"
Il Vigne-TO davanti a Eataly, al Lingotto
- Ritorna quello che dicevate, che
sui tetti dei condomini è complicato. Sono coinvolti grandi marchi,
anche internazionali, e presentate sempre progetti di
partecipazione
Emanuela: "Sì, la partecipazione è uno degli
elementi essenziali degli OrtiAlti e questi marchi hanno spazi,
risorse e un interesse per il verde, considerato come valore aggiunto
e spazio di socializzazione, anche per la loro immagine"
-
Voi parlate molto di partecipazione e di inclusione ed è sempre più
frequente vedere progetti di architettura pensati con questa formula.
Perché, secondo voi, l'architettura sta riscoprendo la
partecipazione nelle grandi trasformazioni?
Emanuela: "Concorrono
varie ragioni, secondo me. Prima di tutto c'è la crisi della
professione, che ha costretto molti architetti a riposizionarsi e a
fare un bagno di realtà, perché l'epoca delle archistar è finita.
È cambiato anche il mercato, sono cambiati i committenti: le
amministrazioni pubbliche non hanno più le risorse disponibili fino
al decennio scorso, la partecipazione di cui si parlava all'epoca era
più strumentale che reale. La committenza attuale è molto più
varia, può essere il terzo settore, che promuove processi di
trasformazione, possono essere gruppi di cittadini per il recupero di
un'area dismessa, il progettista è uno degli attori che partecipano
alla trasformazione. Questo significa tante cose, che devi cambiare
la tua mentalità, che devi acquisire nuovi saperi, non solo
l'architettura, ma anche il
fundraising e la comunicazione, per
esempio, sono sfide nuove, che possono spiazzare, ma sono anche
estremamente affascinanti, per le opportunità che offrono e per la responsabilità sociale dell'architetto".
-
Come si lavora in due, dovendo pensare a progetti e dovendo mettere
insieme idee diverse?
Elena: "Bene, la cosa bella della
nostra collaborazione è che non perdiamo mai i pezzi del lavoro
dell'altra. C'è la divisione dei ruoli data dalle predisposizioni e
inclinazioni personali, ovviamente, ma nessuna si concentra solo sui
problemi che deve affrontare e sa sempre quello che sta facendo
l'altra, non è una cosa così scontata da ottenere, ma è quello che
rende facile lavorare insieme".
OrtiAlti ha
un sito web (da cui sono tratte le fotografie non @rsto) ed è anche
su Facebook.
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