Madre e figlia non avrebbero potuto essere
più diverse. Della vita
libera di
Maria Letizia Bonaparte, insofferente a protocollo e
all'immagine mansueta e sottomessa delle donne,
ho già raccontato (e
mi sono molto divertita, perché una principessa come lei sarebbe
stata la delizia dei
magazines ancora oggi). Adesso tocca a sua
madre,
Maria Clotilde di Savoia, che con questa figlia indipendente e
vitale convisse a lungo, nel
Castello di Moncalieri (
appena riaperto al pubblico dopo lunghi restauri).
Maria
Clotilde è passata alla storia come la
vittima sacrificale del
Risorgimento italiano, avendo dovuto sposare
a 16 anni, lei,
primogenita del re di Sardegna
Vittorio Emanuele II e della regina
Maria Adelaide d'Asburgo-Lorena,
Girolamo Bonaparte, nipote
dell'autoproclamato Imperatore dei Francesi, e di vent'anni più
grande, oltre che libertino e brutto. In un bell'articolo
sul blog Nonna Nanna viene addirittura paragonata a
Ifigenia, la figlia che
Agamennone sacrificò per propiziarsi gli dèi in vista della
guerra di Troia, causando poi le tragedie che sarebbero seguite al suo
ritorno (chissà se a Maria Clotilde, colta e poliglotta, sarebbe piaciuto il paragone). Lo dico: magari un
po' si esagera all'esaltare il sacrificio
di Maria Clotilde, nel nome della ragion di Stato, perché quasi
tutti i
matrimoni regali sono stati sacrifici personali nel nome della ragion
di Stato: rimanendo in Casa Savoia, cosa dire della
13enne Ludovica
che sposa il
49enne zio Maurizio per garantire la pace,
dopo la
guerra dei cognati, nel XVII secolo? O come non pensare a tutte le
adolescenti finite in spose a principi e sovrani di trent'anni più
anziani? Insomma, Maria Clotilde non è stata la sola, anche se,
probabilmente, ha trovato la forza di accettare il suo destino
nella
fede religiosa, che magari altre non hanno avuto.
Nata a Torino
nel 1843, Maria Clotilde manifestò sin da ragazza
una profonda
inclinazione religiosa, in questo aiutata anche dall'educazione impartita da sua madre, Maria Adelaide. E fu la fede ad aiutarla
nei primi dolori,
la morte della nonna Maria Teresa, con cui aveva trascorso lungo
tempo nel Castello di Moncalieri, quella di sua madre, successiva di
pochi giorni, fino alla scomparsa, nello stesso anno, il 1855, del
fratellino Vittorio Emanuele.
Orfana a 11 anni, si trovò a essere
una sorta di
madre per i suoi fratelli più piccoli e a essere una
sorta di
first lady del Regno di Sardegna, avendo rifiutato il Re
l'idea di risposarsi (lo avrebbe fatto solo in tarda età, con
l'amante di tutta una vita,
Rosa Vercellana, la
bela Rosin, con un
matrimonio morganatico che piacque pochissimo).
La preghiera era
il suo rifugio, così come
le opere di carità, a cui era abituata
sin da bambina; Dio era al primo posto nei suoi pensieri. E lo fu
anche quando le fu annunciato che avrebbe dovuto
sposare Girolamo
Bonaparte, per garantire l'intervento della Francia, accanto al Regno
di Sardegna, nella nuova guerra contro l'Austria, secondo gli
Accordi
stretti a Plombières tra
Camillo Benso conte di Cavour e primo
ministro del Regno, e
Napoleone III (che per intervenire
nella Seconda Guerra d'Indipendenza chiede anche
Nizza e la Savoia,
rendendo di fatto sia
Giuseppe Garibaldi che lo stesso
sovrano
"stranieri in patria"). In un primo tempo, Vittorio
Emanuele II
si oppose al matrimonio della figlia prediletta con un
uomo tanto più grande e di fama così pessima, poi decise di
lasciare a lei la decisione. E dopo aver molto meditato, la
principessa adolescente disse di sì, pensando di poter essere
strumento di Dio per fare del bene, magari convertendo il marito
dissoluto.
Ovviamente non fu così. Dopo le nozze, la coppia si
trasferì a Parigi, Girolamo riprese la sua vita sfavillante tra
salotti e amanti, Maria Clotilde si dedicò alle opere di bene e alle
preghiere. Come potevano funzionare due persone di indole così
diversa?
Non funzionarono, infatti, nonostante l'arrivo di tre figli.
Maria Clotilde non apprezzava
la frivola vita di Corte, preferendo la
chiesa e i malati, ma sapeva distinguersi anche per
risposte
taglienti e altere, che di umiltà cristiana avevano poco. Come la
volta in cui rimproverò l'Imperatrice Eugenia ricordandole che
"io
sono nata a Corte" (sottinteso, io sono una principessa per
nascita, tu sei una
parvenu, c'è qualcosa di più superbo che ricordare il proprio
status 'superiore' a qualcuno?). O come quando,
dopo la sconfitta di
Sedan, la Corte abbandonò precipitosamente Parigi, con Eugenia che
ricorse persino al travestimento, mentre lei, giorni dopo e con
calma, attraversò la capitale con una carrozza e i finestrini
abbassati perché
"i Savoia e la paura non si sono mai
incontrati" (e, date le sue opere di carità, non solo nessuno
osò farle del male, ma fu salutata con rispetto). C'è anche un
passo di
una sua lettera a Vittorio Emanuele II, con cui mantenne
un
affettuoso rapporto filiale per tutta la vita e che era molto
preoccupato per lei, ancora a Parigi dopo la sconfitta di Sedan: "
Non
sono una Principessa di Casa Savoia per niente! Si ricorda cosa si
dice dei Principi che lasciano il loro Paese? Partire, quando il
Paese è in pericolo, è il
disonore e l'onta per sempre" gli scrisse, per spiegare perché non lasciava ancora la capitale
francese in preda agli spiriti rivoluzionari.
Poco dopo la caduta
dell'Impero, Maria Clotilde decise di
tornare in Piemonte, con la
figlia Maria Letizia, e si stabilì nel Castello di Moncalieri, dove
ça va sans dire, riprese le sue opere di carità,
appoggiando il
lavoro dei cosiddetti Santi Sociali torinesi in favore dei ragazzi e
dei più poveri (è l'
epoca straordinaria di don Bosco, don
Cottolengo, don Murialdo). Rivide il marito poco prima della sua
morte, avvenuta a Roma nel 1891, e gli sopravvisse per vent'anni,
spirando
in odore di santità a Moncalieri, nel 1911. Maria Clotilde
e Maria Letizia insieme, nel Castello di Moncalieri, così diverse e
così coerenti con se stesse. I diversi modi di essere donna, che è
bene
non giudicare, che ognuna sia quello che vuole (e riesce a) essere.
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