L'8 marzo in visita a
Frank Horvat.
Storia di un fotografo, a
Palazzo Chiablese. Una visita imprevista e
non programmata per quel giorno: è saltato un appuntamento, ero in
centro e ne ho approfittato. E poi, osservando le fotografie e le
donne immortalate da Horvat,
mai irraggiungibili, neanche le modelle
delle riviste patinate, ho pensato che la Festa della Donna è
un bel
giorno per scoprire il fotografo italiano, cosmopolita e inquieto.
La mostra ha un
percorso tematico, che attraversa tutta la vita e
tutta la carriera di Horvat, sempre interessato agli ultimi,
fotografati nella loro umanità. Colpisce che, fotografando
situazioni di degrado e povertà, riesca a mantenere sempre
la
dignità delle persone, siano donne nascoste dietro i burka, giovani
soldati egiziani, bambine tristi asiatiche, modelle in posa nei mercati, uomini vocianti in vie affollate. I temi della mostra
parlano di Condizione Umana, Tempo sospeso, Metafore, Somiglianze, ci
sono
paesaggi di indicibile bellezza e solitudine,
sguardi dai mille
significati diversi (una donna che guarda sognante il suo uomo, un
uomo che per strada osserva le curve di una donna, per dirla in
qualche modo). Ci sono
soprattutto le donne, raccontate nelle mille
avventure delle loro vite, nel rapporto con gli uomini, negli sguardi
su loro stesse, nelle difficoltà di Paesi che non le riconoscono,
nella durezza di sfide perdute. Poche volte ho visto un fotografo
raccontare le donne
con uno spirito così rispettoso, quasi
affettuoso,
senza sovraccaricarle delle proprie aspettative,
permettendo loro di
essere se stesse e ciò che
la vita ha permesso
loro di essere.
Una delle cose che ho apprezzato di più della
mostra sono
i pannelli introduttivi alle varie sezioni che riportano
le parole scritte da Horvat,
curatore di questa sua personale
torinese. Sarebbe decisamente ingeneroso dire che sono la parte più
bella della mostra, ma
le sue riflessioni aiutano a guardare il
suo lavoro e il suo modo di intendere la fotografia e rimangono dentro. Anche
per pensarci dopo.
Mi sono piaciute le sue
parole sulla sua
difficoltà di scattare se una persona guarda
l'obiettivo e di come sia voluto rimanere fedele all'idea di
"illusione di invisibilità", perché il fotografo deve
raccogliere l'istante, se vuole raccontare la vita. Ed è anche
interessante quello che dice
sul rapporto con le modelle fotografate
per le riviste e
le donne che ama fotografare, che non coincidono
perché "sono attratto da donne che assomigliano raramente a
quelle che mi chiedono di fotografare per le riviste". Il
rapporto con le modelle è sempre e comunque
un falso, anche quando
ricostruisce scene di vita, che sono false, essendo ricostruire; per
le donne che ama fotografare, quello che conta è
"l'istante
decisivo", quello in cui ruba "la verità di un volto".
A
raccontare quest'idea di fotografia, anche
la sua collezione privata
di immagini, che riunisce i lavori di alcuni dei
più grandi
fotografi del Novecento, da Henri Cartier-Bresson a Bill Brandt, da
Irving Penn a Robert Doisneau, dalla celebre immagine di Jeff Widener
in piazza Tienanmen, del giovane studente che blocca i carri armati,
nella primavera del 1989, prologo delle rivoluzioni di quell'estate
(ma con finale diverso) alle denunce ambientali di Sebastião Salgado.
Frank Horvat. Storia di un fotografo
è a Palazzo Chiablese, in piazzetta Reale,
fino al 20 maggio 2018.
L'
orario di apertura è lunedì ore 14-19, martedì-domenica ore
10-19. Il
biglietto d'ingresso costa 12 euro, ridotto 6 euro,
gratuito per Abbonamento Musei (la mostra più il biglietto dei Musei
Reali, acquistabile nella biglietteria di Palazzo Reale, in piazzetta
Reale 1, costa 20 euro, ridotto 10 euro).
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