Aldo
dice 26 x 1. Nemico in crisi finale. Applicate Piano E 27. Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga. Fermate tutte le
macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone
sospette. Comandi Zona interessati abbiano massima cura
assicurare viabilità forze alleate su strada Genova-Torino et
Piacenza-Torino.
Il
25 aprile di Torino inizia così, con
quest'
ordine di insurrezione recapitato ai
partigiani, pronti a
scendere in città dalle vallate e a unirsi ai
lavoratori, in
sciopero dal 18 aprile. E mi piace ricordarlo in questo 25 aprile del 2018, che
in città sa di
estate anticipata e che, dopo le elezioni del 4 marzo, appartiene a uno dei
momenti convulsi
della storia repubblicana. Perché non dimentichiamo quali siano i
valori non negoziabili
dell'Italia: l'anti-fascismo, la libertà, la democrazia.
"In
base al piano insurrezionale a suo tempo elaborato dal CMRP, dovevano
essere impegnati nella liberazione di Torino due gruppi di forze:
quelle cittadine articolate in 5 settori con 1865 uomini di pronto
impiego e 7130 di secondo impiego e quelle partigiane provenienti dal
di fuori: 4 divisioni "Autonome" ("Giovane Piemonte",
"Monferrato", "De Vitis", "Val Chisone")
con un totale di 1100 uomini, 5 divisioni garibaldine (la, 2a, 3a,
4a, 13a) con 3300 uomini, 5 divisioni "Giustizia e Libertà"
(3a, 4a, 6a e un gruppo operativo mobile) con 1500 uomini, 3
divisioni "Matteotti" ("Canavese", "Collina",
"Monferrato") con millecinquecento uomini. Le forze
autonome, le garibaldine delle Langhe ed eventualmente le due
divisioni "Giustizia e Libertà" del Cuneese con un
complesso di 3900 uomini dovevano servire di riserva strategica"
scrive
Pietro Secchia ne
Le cinque giornate di Torino (l'articolo intero è
su resistenze.org).
E mentre i
partigiani si avvicinano alla città, nella notte del 25 aprile,
gli
operai rifiutano di lasciare le fabbriche, una volta terminato il
turno: "I lavoratori si preparavano febbrilmente alla battaglia
sbarrando i cancelli degli stabilimenti, ostruendo i passaggi con
blocchi di ghisa, piazzando le mitragliatrici in punti cruciali e
apprestando delle postazioni di difesa. Durante la notte avevano
eretto muretti e trincee utilizzando il materiale più diverso. Dai
nascondigli uscivano le armi, le munizioni e le bombe precedentemente
occultate. Già da qualche tempo l'ufficio sabotaggio e
controsabotaggio del CLN aveva
preso contatto con i dirigenti e i tecnici di molte aziende per
preparare la difesa degli impianti industriali e se non in tutte, in
diverse si erano trovati aiuti e complicità nel lavoro di trasporto
e occultamento delle armi. Ogni officina è rapidamente trasformata
in fortezza, ma i lavoratori non commettono l'errore del 1920 di
restarvi asserragliati all'interno in attesa degli eventi; mentre
assicurano la difesa passano con slancio all'attacco. Vi sono gli
impianti delle ferrovie, delle centrali elettriche e telefoniche da
difendere, i ponti sul Po e gli acquedotti da salvare, le radio, gli
edifici pubblici, le caserme da conquistare"
E leggere i
paragrafi successivi, in cui si racconta la lotta contro i tedeschi e
i fascisti, quasi fabbrica per fabbrica, commuove: "Intanto la
Fiat Mirafiori ove lavoravano
13 mila operai di cui
2 mila donne, è
attaccata verso le 18 con
tre carri armati e una decina di autoblinde
dai tedeschi che riescono a penetrare nella prima cintura di difesa,
ma sono presto ricacciati dai lavoratori. Questi rispondono al fuoco
violento con le mitragliatrici poste ai finestroni dello stabilimento
e col lancio di granate e di bottiglie "Molotov"; un carro
armato tedesco è immobilizzato e gli altri due sono
costretti a
ritirarsi, alcune autoblinde sono in fiamme. I nazisti rinnovano poco
dopo l'attacco. […] Non è stato che un assaggio, alle 21 il nemico
attacca in forze da corso Ferrucci e da via Montenegro cannoneggiando
lo stabilimento. Due carri armati pesanti, un'autoblinda e alcuni
autocarri tentano di penetrare. Numerosi
operai cadono combattendo,
tra gli altri
Mario Bonzanino. I lavoratori non erano rimasti in
ozio, occupata la fabbrica avevano iniziato
il montaggio di tre carri
armati tipo 15/42 di cui uno semovente con pezzi da 75mm. Costruiti
in poche ore, erano appena pronti quando alle 21 il nemico aveva
attaccato. Appena il primo di questi carri armati, come un bolide
uscì dallo stabilimento, i nazifascisti
batterono in ritirata. Altre
fabbriche sono attaccate con
estrema violenza dal nemico. Duri
combattimenti si sviluppano alla
Lancia, ove i carri armati tedeschi
sono ricacciati dai Gappisti, alla
Grandi Motori, alla
Nebiolo, alle
Ferriere Piemontesi e in diverse
officine. La lotta, frattanto, infuria a
Porta Nuova, alla
stazione i tedeschi hanno attaccato con tre carri armati, i
ferrovieri della brigata SAP "Lino Rissone" e gli arditi
Gappisti resistono efficacemente e mettono in fuga il nemico. Anche i
Sappisti hanno tre morti e numerosi feriti, ma la stazione e lo scalo
ferroviario rimangono nelle loro mani. Alla
stazione Stura, invece, i
patrioti sono costretti a ritirarsi dopo avere inflitto ai tedeschi
gravi perdite. Si
combatte in ogni angolo della città, i tram sono
fermi dalle prime ore del mattino, le case alla periferia
imbandierate. Alcuni edifici pubblici tra i quali la questura, il
municipio (dove il podestà Fazio è stato arrestato), l'Eiar, la
Stipel, la Sip, la caserma dei vigili del fuoco, sono già nelle mani
degli insorti. La squadra volante della "Gramsci" penetra
nel palazzo delle Poste di via Nizza, disarma la milizia
postelegrafonica, conquista una mitragliatrice pesante, 26 moschetti
e altre armi".
Poi le
brigate partigiane, già pronte a
entrare in città, ricevono l'ordine: è il
26 aprile e si uniscono
ai torinesi in lotta contro i tedeschi in fuga. E l'emozione al
leggere la ricostruzione di quelle giornate di lotta è grande,
perché si parla di
fabbriche che sono state parte della rinascita
economica e sociale di Torino nel dopoguerra, di luoghi che sono
ancora oggi
centri nevralgici della città. Porta Nuova, la Viberti,
i ponti sul Po, Barriera di Milano, violati dai carri armati e tutti
in strada a lottare per cacciarli via.
Il piano di liberazione di
Torino è stato
studiato perfettamente dal CLN sin dall'autunno del
1944 e risponde a
quattro concetti generali, come spiega
valsangoneluoghimemoria.altervista.org: "Innanzitutto,
Torino deve liberarsi da sola, prima dell'arrivo degli alleati, per
dar modo agli organi di autogoverno locali di assumere i poteri. In
secondo luogo, l'insurrezione deve avvenire
con il concorso delle
formazioni cittadine e di quelle 'foranee', che occuperanno gli
obiettivi fissati e stabiliranno attorno alla città una cintura di
posti di blocco. In terzo luogo, le formazioni operaie 'interne' e le squadre partigiane antisabotaggio devono provvedere
alla difesa degli impianti e delle vie di comunicazione. Infine, i gruppi partigiani che rimangono all'esterno della città
devono
disturbare i movimenti delle truppe tedesche in ritirata,
senza tuttavia affrontarle in campo aperto per l'inferiorità
dell'armamento. Il piano risponde ad esigenze militari e politiche
insieme, perché il problema della liberazione del territorio è
inscindibile da quello del suo
successivo controllo: si tratta di
sostenere la battaglia contro i nazifascisti, ma anche di superare le
diffidenze inglesi e accelerare i tempi dell'insurrezione. Non si
possono aspettare le armate angloamericane, col rischio di
veder
liquidato il movimento resistenziale senza tener conto di
nulla".
Torino si libera da sola:
il 28 aprile è già una
città libera, anche se il 29 e 30 aprile subisce
l'onta
dell'eccidio di Grugliasco, in cui i tedeschi, mancando alla parola
data, uccisero
58 partigiani e 7 civili. Quando gli Alleati
arrivarono, "trovarono
una città disciplinata, presidiata da
14
mila partigiani, i servizi pubblici in funzione,
salve tutte le
industrie,
intatti i ponti le centrali elettriche e ferroviarie.
Nelle cinque giornate insurrezionali di Torino
caddero combattendo
nelle fabbriche e nelle strade
320 partigiani e lavoratori. La classe
operaia torinese ancora una volta era stata
all'avanguardia nella
lotta e nel sacrificio. Le maestranze presenti alla Fiat Mirafiori
durante tutte le giornate insurrezionali
avevano superato il 90%,
l'80% alla Spa, l'85% alla Lancia, le stesse percentuali negli altri
stabilimenti".
Questa è Torino, signori,
antifascista,
libera, progressista, orgogliosa e sabauda,
Medaglia d'Oro al Valor Militare per la sua Resistenza, ora e
sempre. Grazie a tutti i partigiani che hanno sacrificato la loro
vita e che, sopravvissuti, hanno portato testimonianza instancabile
della loro lotta.
Che questa Italia possa essere sempre degna del
loro sacrificio.
PS Se poi volete leggere di cosa sono stati i
mesi successivi alla Liberazione, di quanto fosse dura la vita del
primo dopoguerra, c'è
un bell'articolo di Torino Storia, al link
indicato.
C'ero ho letto e rivissuto . una sopravvissuta grazie
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