Stamattina ero al
Museo Nazionale del
Risorgimento, un Museo generalmente poco indicato nelle guide di
Torino e che
invece dovrebbe figurare di più
nella lista dei Musei da vedere,
soprattutto con il
nuovo allestimento, che inserisce il
Risorgimento italiano nella
serie di inquietudini e movimenti dell'Ottocento romantico, anche
attraverso l'uso di
strumenti multimediali, come i bellissimi video.
Anche il Museo del Risorgimento alla
mattina è preso d'assalto dalle scolaresche. Stamattina ne ho
incontrate quattro o cinque, che, in sale diverse, seguivano con più
e meno attenzione le lezioni delle
guide.
Così mi sono trovata a
sentire (e ascoltare!) ipotesi
sulla differenza di statura tra Carlo
Alberto, principe tormentato e aristocratico, e suo figlio
Vittorio
Emanuele, principe tozzo e passionale e ho ascoltato anche del
tremendo litigio tra re Vittorio Emanuele II e il Conte di Cavour, in
vista dell'
armistizio di Villafranca, con il re sardo che accettava
la decisione francese di deporre le armi e
ottenere la Lombardia (era
pur sempre un Savoia che vedeva incrementare le terre del proprio
Regno) e il suo Primo Ministro
fuori dai gangheri perché voleva
continuare la guerra e
ottenere anche il Veneto, obiettivo
della
Seconda Guerra d'Indipendenza. Dimissioni immediate di Cavour,
re Vittorio Emanuele II che finalmente si libera del mai troppo
sopportato Tessitore e chi ti rovina i piani? I
piccoli ducati emiliani e il Granducato di Toscana, che cacciano i loro
sovrani per chiedere
l'annessione al Regno di Sardegna e minacciano
la
stabilità dell'Italia non ancora unificata. Così re Vittorio
Emanuele ha bisogno di un
diplomatico come il suo Primo Ministro e
Camillo ha una sorta di
compensazione dal fallimento dell'alleanza
con la Francia a cui aveva lavorato per decenni. Tra i due pace
fatta, fino al prossimo scontro, e Vittorio Emanuele guarda con
favore a
Giuseppe Garibaldi, pronto a
salpare per il Sud, mentre
Camillo ha di nuovo le mani nei capelli. E stavo guardando
un quadro
sull'assedio a Gaeta, mentre ascoltavo il Risorgimento raccontato
agli adolescenti, con toni che al liceo non si usavano, ma che spero
siano riusciti ad
appassionarli alle figure dei Padri della Patria.
Di sicuro hanno appassionato me, perché appena tornata a casa ho
messo su
Google "rapporti tra Vittorio Emanuele II e Cavour".
Sono uscite cose interessanti, che liberano il primo sovrano italiano
dagli stereotipi che lo volevano rozzo e militaresco. Non che lo
rendano algido e aristocratico, continuano a riportare il
grande
stupore che colse
Giorgio Pallavicino quando si rese conto che
davvero il re, che
odiava la sola idea di leggere un libro e che mai
nessuno dei suoi insegnanti era riuscito ad appassionare alle lettere
e alla cultura in senso classico, aveva davvero letto
Del
rinnovamento civile d'Italia di Vincenzo Gioberti.
C'è
un articolo molto interessante, firmato da
Romano Ugolini, professore di storia contemporanea, che individua
i momenti
più importanti della vita pubblica di Vittorio Emanuele. Quelli in cui dà
prova del suo fiuto e della sua intelligenza politica, anche al
circondarsi di uomini che magari non sopportava a livello personale,
ma che sapeva più adatti di lui al ruolo a cui li aveva chiamati. Il
primo di questi momenti è
l'ascesa al trono, dopo la
disastrosa sconfitta di Novara,
nel 1849, e l'incontro con il
Maresciallo Radetzky. "Di fatto,
Vittorio Emanuele divenne re
nel momento peggiore, dopo una disfatta
militare, e
nel modo peggiore, per una abdicazione firmata davanti a
poche persone e rimasta pressoché segreta. toccava al nuovo sovrano
prendere, data la situazione, decisioni immediate, ed è in questa
delicata fase, quando il ritrarsi era impossibile e l'ausilio di
riflessione e consiglio altrui praticamente inesistente, che il
ventinovenne monarca manifestò per la prima volta le sue doti
maggiori: il suo
sangue freddo e la capacità istintiva di avere un
quadro della situazione
nitido e preciso, privo delle alterazioni
dettate dalla passionalità o di deformazioni di matrice emotiva"
scrive Ugolini, sottolineando anche come la
forte differenza d'età, quasi
60 anni tra il 29enne nuovo sovrano e l'83enne ufficiale austriaco, e
il
matrimonio di Vittorio Emanuele con Maria Adelaide, che Radetzky
vide crescere a Milano e per la quale aveva un affetto quasi da
nonno, ben disposero il vincitore verso lo sconfitto. Poi, il resto
lo fecero la necessità di
tenere saldo il Regno di Sardegna in un momento di difficoltà, per evitare le mire francesi, e la
real
politik del mMaresciallo.
L'articolo si sofferma sull'affetto che
Vittorio Emanuele sentiva per
Massimo d'Azeglio, il suo primo
Presidente del Consiglio, il primo a parlare del "re galantuomo"
e a sostenere quel mito, "due personalità
tanto diverse tra
loro per formazione e cultura, ma legate da un modello di vita 'fuori
dalle righe', leggero e scanzonato, privo di un ossequio pedissequo
a regole e tradizioni che sentivano entrambi come prive di
consistenza concreta in un mondo, quale quello di metà ottocento,
che si stava rapidamente rinnovando".
E poi, all'avvento di
Camillo Benso conte di Cavour, il fragile equilibrio tra due
personalità che
si rispettavano senza amarsi; il re che pensava
al
prestigio della sua dinastia e alla Corona, perché "i primi
ministri passano, il re resta", il Conte che tendeva a sostenere
il ruolo della Camera, per ridimensionare il potere del Re. Ed è
impietoso quello che Romani scrive di Cavour: "Sapeva che oltre
non poteva andare: un conflitto aperto con la Corona voleva dire
offrire il fianco agli avversari, e i più pericolosi erano
nell'esercito e nelle amministrazioni locali, del tutto legati alla
figura del re. nella necessità di doversi contenere, sfogò tutta la
sua acredine contro il sovrano sfruttando
il punto debole che questi
offriva, ovverosia la questione della '
bella Rosin', l'amante
pressoché ufficiale di Vittorio Emanuele; contro di lei scatenò
una
guerra aperta, senza esclusione di colpi, riuscendo persino in un
contrasto diretto con il re
a farlo piangere".
L'armistizio
di Villafranca fu il momento clou della difficile convivenza tra
i due, arrivati allo scontro di cui parlava la guida del Museo del
Risorgimento. La terribile litigata, in cui nessuno dei due cedette di
un millimetro, finì
con lo sfogo del re con i suoi: "Oh!
per lor signori le cose vanno sempre perché
aggiustano tutto colle
dimissioni, ma chi non si può levare d'impaccio così comodamente
sono io,
io che non posso dimettermi, io che non posso disertare. si
fa insieme la strada e quando si è nel fitto delle difficoltà
allora
mi lasciano solo ad affrontarle; solo responsabile in faccia
al paese e alla storia". Difficile mestiere quello del re, lo
sanno tutti i sovrani, persino oggi.
Tra gli articoli letti oggi,
ce n'è uno di
Francesco Perfetti,
pubblicato dal Giornale, che parla del
successo
europeo di re Vittorio Emanuele II, imparentato con tutte le Famiglie
Reali da generazioni.
Nel 1855, appena diventato vedovo, il sovrano
piemontese si recò
in Inghilterra, ufficialmente per distrarsi,
ufficiosamente perché gli volevano trovare una nuova moglie (Cavour
intrallazzava per allontanarlo dalla bella Rosin, senza riuscirci, e
intendeva rinsaldare i legami del Regno Sabaudo con le grandi potenze
europee, anche per rassicurarle,
viste le ambizioni). Così la
regina
Vittoria scrisse nel suo diario: "È un uomo rozzo. Balla come
un orso, parla in modo sconveniente: ma,
se entrasse il drago, sono
sicura che tutti fuggirebbero, tranne lui.
Sguainerebbe la spada e mi
difenderebbe. È
un cavaliere medievale, un soldato, questo Savoia".
E se non fosse sufficiente: "Quando lo si conosce bene, non si
può fare a meno di amarlo. Egli è così franco, aperto, retto,
giusto, liberale e tollerante e ha molto buon senso profondo. Non
manca mai alla sua parola e si può fare assegnamento su di lui".
Capite perché mi piace andare per Musei, anche quando li ho già
visti? Perché poi vengono fuori storie come queste (e tutto quello
che ho dovuto tagliare per non scrivere un romanzo!).
Abbiamo figure e vicende splendide nell'età prerepubblicana dell'Italia che potremmo amare e raccogliere nella nostra narrazione. Purtroppo le azioni sciagurate di un solo re Savoia ci hanno fatto tirare una linea anche su tutto ciò che lo precedette. Pare quasi che conservare un legame con la propria storia, anche quando questa era fatta di monarchie, costituisca una macchia sulla nostra patente repubblicana d'oggi.
RispondiEliminaConcordo con te sul Museo del Risorgimento, è splendido. E con l'abbonamento musei ne approfitto per tornarci più e più volte, dedicando la dovuta attenzione a poche sale per ciascuna visita.
Simone
Concordo Simone, anche per questo mi piace andare a scovare le storie dei sovrani sabaudi e delle principesse; e mi piace mostrare come tanta cultura e tanta identità di Torino siano risultato dei progetti e degli interessi dei Savoia. Prima o poi l'Italia imparerà a fare i conti con il proprio passato e sarà restituire ai Savoia il posto che spetta loro nella Storia del nostro Paese.
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