Quando è successo che le
diagonali si
sono imposte
nello scacchiere romano di Torino? D'accordo, c'è
l'esempio celeberrimo di
via Po, che mantenne il suo andamento
inclinato, nel secondo ampliamento cittadino, per raggiungere l'unico
ponte sul Po, posizionato dove ancora oggi si trova il Ponte Vittorio
Emanuele I, davanti alla chiesa della Gran Madre. Ma se guardiamo
alla città odierna, in particolare a
Barriera di Milano o a
Borgo
San Paolo, il tradizionale impianto di vie rette e ortogonali, di cui
noi torinesi siamo così orgogliosi, è decisamente
perduto, grazie a
corsi e viali che 'tagliano' la rete regolare di strade e rendono meno
leggibile l'eredità romana.
Quando è successo, dunque? È
successo
negli ampliamenti di Torino del XIX e XX secolo, che hanno
inglobato, in una città in espansione grazie al successo delle sue
industrie, borgate operaie e proletarie, in cui lo scacchiere romano
non era più così importante quanto la
vicinanza strategica alle
porte d'ingresso, ai fiumi, alle fabbriche. Eppure nell'immaginario
della città in espansione si è cercato di
conservare lo scacchiere
romano il più possibile, soprattutto nel primo Ottocento. Pensate al
Borgo Nuovo, l'
attuale San Salvario, o al quartiere costruito sulle
ceneri della Cittadella, tra l'attuale
via Cernaia e la Crocetta: le
vie sono ortogonali, con grandi viali come corso Vinzaglio (poi corso
Duca degli Abruzzi), corso Galileo Ferraris, corso Re Umberto, che
scendono verso sud (a San Salvario le grandi vie di scorrimento verso
sud sono via Nizza, verso la ferrovia, e corso Massimo d'Azeglio,
lungo il Po). Ed è qui che entra in gioco
la Allea Oscura.
Di
questo mitico viale, che collegava
la Porta Nuova al Castello del
Valentino, ci sono immagini sin dall'età barocca. Perché se
all'interno della città lo scacchiere romano era la norma, nei suoi
dintorni non era così necessario: il Castello del Valentino, per
esempio, fu
fulcro di tre viali, uno centrale, unico
sopravvissuto in
corso Marconi, e due laterali e posti simmetricamente in diagonale.
Quello che conduceva verso sud si perse rapidamente, quello che andava verso Torino era l'
Allea Oscura, di cui sappiamo
che era accompagnata da una
quadruplice fila di olmi e che era la
passeggiata prediletta dei torinesi, a cavallo o a piedi, nei giorni
di festa; il posto in cui si andava per vedere e farsi vedere,
insomma, tra la città e il suo fiume, nei momenti di riposo.
Non
sappiamo se c'erano dei palazzi a segnarne il profilo, anche se tempo
fa (gennaio 2018) il mensile
Torino Storia ha
pubblicato un articolo in cui mostra
un tetto in diagonale in un
cortile di via Madama Cristina angolo via Silvio Pellico, che
potrebbe essere una delle prove dell'esistenza di
costruzioni
sull'Allea, essendo in asse con il suo tracciato settecentesco. Non
sappiamo davvero molto su questa via, ma quello che è chiaro,
guardando la città in espansione, è che
la sua inclinazione
'infastidiva' lo scacchiere ortogonale, che si era deciso di
conservare anche nel nuovo ampliamento verso sud. Cosa si fece
allora, per ovviare alla sua esistenza e garantirsi gli isolati
regolari, più facili da vendere per il loro sfruttamento edilizio? Dapprima si pensò di
'ruotare' la maglia delle vie, in modo da renderle perpendicolari all'Allea, ed
evitare gli isolati triangolari di raccordo, ma questa soluzione fu abbandonata perché sarebbe stato evidentemente complicato il rapporto tra la città vecchia e il suo ampliamento.
Così si
scelse la strada più semplice: l'Allea Oscura venne
abbattuta e
sostituita dall'attuale impianto ortogonale di San Salvario. Si perse
così una testimonianza preziosa del passato torinese e del suo
tracciato fuori le mura cittadine. Ma l'Ottocento nella sua
ossessione per l'espansione regolare compì molti abbattimenti che
oggi considereremmo
sacrileghi, a cominciare dalla
Cittadella. È la
storia che va avanti, in fondo, e bisogna accettarne il risultato,
anche quando è decretato da epoche che avevano altre mentalità.
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